Soli tra la folla

Soli tra la folla

Desidero soffermarmi a riflettere con voi su come mai siamo soli? Qualcuno sostiene che
la solitudine sia una condizione umana. Salvatore Quasimodo non ha dubbi: “Ognuno sta
solo sul cuor della terra, trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera”. Ognuno vive solo
su questa terra con l’illusione di un raggio di luce o scambio d’affetto, ma che subito viene
meno. Lo scrittore sembra sostenere che la solitudine sia insita in noi. Provo quindi a
sostenere la tesi opposta, se ci riesco.
Siamo soli immersi tra la folla: Le città sono affollatissime; i palazzi, i grattacieli sono
abitati da decine e centinaia di persone; gli autobus e le autovetture sfrecciano di giorno e
di notte con a bordo persone d’ogni razza; nei supermercati, nei bar e per le strade
cammina tanta gente. Viviamo vicini, ci vediamo, ma siamo soli e forse eravamo meno soli
in passato, quando vivevamo in case sparse e sulle strade camminavano poche persone.
Il sogno di molti è vivere in una grande città per avere maggiori contatti sociali, ma in
realtà accade spesso il contrario: ci sentiamo più soli perché il contatto umano nei grandi
agglomerati sociali non è personalizzato e pertanto è penalizzato. Succede perché
abbiamo difficoltà ad aprirci, a instaurare legami autentici e profondi con gli altri che sono
veramente quella parte fuori di noi che ci completa umanamente.
Innalziamo muri, barricate, per impedire questo meraviglioso incontro. Temiamo che i
nostri spazi intimi siano invasi, che il nostro io venga messo a nudo con domande,
curiosità, richieste. Eppure abbiamo bisogno per allentare il morso della solitudine di
costruire ponti che ci uniscano e non muri che ci dividano. Frequentiamo pertanto gruppi
associati, club sportivi e ricreativi, amicizie, cerchiamo di stare insieme, in modo che la
relazione crei un rapporto vero che vada oltre lo scambio di parole, di sms. Qualcuno ha
affermato che ci rapportiamo agli altri come se fossimo sull’ascensore. Siamo a stretto
contatto con alcune persone che conosciamo da anni ma, il più delle volte, solo di vista, e
così il sentimento che prevale è l’indifferenza o l’imbarazzo. Il piccolo trasporto da un
piano all’altro in ascensore avviene con sguardi fuggitivi e un saluto appena abbozzato:
“Buongiorno, buonasera”.
Pensiamo pure che ogni conoscenza più approfondita porterebbe via del tempo alla nostra
frenetica quotidianità, alla quale si devono dedicare tutte le nostre energie possibili. Siamo
avvinghiati al nostro fare, correre, non abbiamo tempo disponibile per conversare,
conoscerci, dare spazio a momenti di dialogo costruttivo. Di qui l’inarrestabile
comunicazione in rete. Ci illudiamo di far tacere la solitudine tramite i mezzi di
comunicazione, dove le immagini sostituiscono le persone e accentuano la segregazione,
l’isolamento. Siamo un po’ tutti ormai dipendenti dal mondo virtuale, ci concentriamo sul
piccolo schermo, sul telefonino o tablet, dove è riprodotto in immagini e suoni il mondo
virtuale che sostituisce quello reale fatto di persone e cose. Sostiamo ormai ore e ore soli
in questi paradisi artificiali voluti allo scopo di farci evadere dalla realtà e allontanare le
difficoltà, i problemi. Che illusione! I problemi poi tornano, non si possono alienare o
rimuovere con una sequenza d’immagini che passano sul display.
La naturale relazione è stata sostituita dalla connessione in rete che significa far parte di
un social. Raggiungiamo le persone in modo veloce con la nostra immagine e una fiumana
di messaggi. Crediamo, in questo modo, tramite un monitor, di comunicare con più
persone. Ognuno di noi può dare in quel modo un’immagine ideale di sé, falsa, costruita.
In rete si può inserire un volto giovanile, un corpo atletico e accattivante di dieci anni più
giovane, si può far credere di avere una vita economicamente agiata, ma poi la realtà

smentisce questi mitomani. Basta il primo incontro per deludere le attese dell’altro o altra. I
rapporti veri sono quelli reali in cui manifestiamo la nostra identità con le sue potenzialità e
i limiti. La connessione ci inganna, ci fa immaginare di mettere fine alla solitudine. Non
serve, noi abbiamo bisogno d’incontri veri, percettivi con le persone che comunicano
attraverso il corpo che vede, sente, tocca e una mente che pensa.
In realtà abbiamo sacrificato la conversazione faccia a faccia per accontentarci dei nostri
smartphone. Al lavoro, a casa e nelle relazioni personali, troviamo modi per aggirare la
conversazione, digitando sul telefonino un sms per non ascoltare e quindi estraniarsi da
tutti. Non vi è mai capitato, durante una serata fra amici, di sentire la necessità di
controllare il display del telefonino per vedere se qualcuno vi ha cercato? Sembra che il
contatto reale con le persone non basti e che il cellulare serva a riempire uno spazio
interiore lasciato vuoto. L’incessante ricerca di nuovi stimoli, soprattutto mediatici,
c’impedisce di elaborare pensieri e di appropriarci degli stessi. Di qui la solitudine e il venir
meno della speranza di nuovi e veri rapporti che incrementano la gioia.

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