Perdono e giustizia

Perdono e giustizia

Un motto afferma: “Senza giustizia non c’è pace, senza perdono non c’è giustizia”. Questo
messaggio è rivolto a tutti gli uomini e donne di buona volontà e mi fa riflettere
profondamente. Ho appreso, fin da ragazzo, l’idea che il perdono e la giustizia non sono
due parole contrapposte, ma due qualità umane che si completano a vicenda. Da alcuni
maestri di vita ho imparato che la persona giusta evita il male, ma lotta anche perché gli
altri non ne siano vittime. Questi testimoni del bene mi hanno anche sussurrato di buttare
un lume di speranza nella nostra anima per perdonarci e perdonare.
Ho chiesto ad alcuni scrittori e opinionisti, di cui riporto solo il loro nome, se la giustizia si
avvale del perdono. Le risposte che seguono ci aiutano a comprendere come la giustizia e
il perdono sono due facce della stessa moneta.
Gianmario: “Certamente trasfondere il perdono nella nostra cultura dominante non è facile.
Il male anche dopo tanto tempo riemerge sempre in ciascuno di noi, la barbara legge
dell’occhio per occhio ci domina. D’altra parte non possiamo dirci giusti se non sappiamo
perdonare; il perdono è la sostanza stessa del messaggio evangelico e parte costitutiva
dell’umanesimo cristiano e laico. La cultura del perdono testimoniata da tante persone
autenticamente sagge è uno dei contributi più preziosi presenti nella nostra società. Alcuni
importanti principi di chiara impronta umanistica, come la responsabilità personale e il
recupero di chi sbaglia, sono stati recepiti dall’umanesimo laico e cristiano. Non solo
perché questi principi e valori siano attuati dove già sono riconosciuti, ma perché diventino
patrimonio anche delle non poche Nazioni in cui sono sconosciuti. In alcune di queste
vige, ancora oggi, la pena di morte, ed è perfino previsto che i parenti delle vittime
assistano all’esecuzione”.

Anna: “Perdonare sempre è una delle azioni più difficili che si possa compiere. Perdonare
un tradimento, da parte di un amico o della persona che si ama, oppure qualcuno che ci
ha offesi non è affatto facile, implica coraggio e forza, ma può portare a risultati
inimmaginabili. Rimuovere le emozioni che spesso si depositano nella psiche come virus
ci consente di aprirci a una nuova fase della nostra vita e a un nuovo rapporto con la
persona che abbiamo perdonato. La prima cosa che dobbiamo sapere a proposito del
perdono è che perdonare chi ci ha deluso è un’azione che serve a noi stessi, prima ancora
che alla persona che ci ha ferito. Perdonare, infatti, significa mettere da parte l’odio, ciò ci
salva dall’avvelenamento della mente. Prendiamo il caso del perdono nella coppia, dopo
un tradimento: senza perdono il risentimento nei confronti del partner uccide l’amore, ci
rende diffidenti, tristi e rancorosi, insomma ci rovina l’esistenza. Il perdono avvia nella
coppia anche la coscientizzazione dell’ingiustizia”.
Beppe: “Nelson Mandela vittima dell’ingiustizia politica e segregato in carcere per tanti
anni, afferma: “Nessuno nasce odiando i propri simili a causa della razza, della religione o
della classe alla quale appartengono. Gli uomini imparano a odiare, e se possono
imparare a odiare, possono anche imparare ad amare, perché l’amore, per il cuore
umano, è più naturale dell’odio”. Aggiungo che l’amore è la sorgente del perdono. C’è chi
si chiede se il perdono contempli la giustizia. Il vero perdono è riconciliazione con sé e con
gli altri e quindi porta anche all’accettazione della condanna che la giustizia prevede. Il
perdono non si sostituisce mai alla giustizia, ma operano insieme. Ho incontrato in carcere
alcuni detenuti che si sono perdonati per il male commesso e hanno accettato la pena

come espiazione e recupero. Hanno chiesto perdono anche alle vittime del loro male con
tanta umiltà. In questi incontri ho compreso che la giustizia sbocciava dal perdono”.
Alessandra: “‘Neanche Dio mi può perdonare’. Sono le prime parole di Gianfranco,
giovanissimo omicida della persona a cui voleva bene. Si chiedeva spesso: ‘Perché l’ho
fatto? Perché Dio ha permesso che lo facessi?’. Era il suo duello con sé e con Dio. Mi
trovai in galera davanti a un ragazzo di ventitré anni che aspettava una condanna severa e
lunga e si domandava che senso potesse avere la sua vita. Quindi era meglio farla finita.
Dopo qualche mese, proprio in un momento in cui l’angoscia e la depressione
s’imponevano nella sua mente, mi fece questa domanda: ‘Che ne sarà di me?’. Pensai
che fosse il momento giusto, gli dissi: ‘Prova a leggere il Vangelo di Luca senza
pretendere di capire tutto subito’. Da lì in poi il rapporto fra noi divenne più personale. I
suoi pensieri erano diversi, voleva lottare, riconciliarsi con Dio. Oggi è fuori, libero. Porta
sempre in sé il peso della colpa. È riuscito nell’impresa di perdonarsi e impegnarsi in
opere di carità verso gli ex detenuti. Avrebbe desiderato ricevere il perdono della famiglia
della ragazza. Ha provato a cercare un contatto, ma non gli è stato concesso. La loro ferita
è ancora troppo dolorosa, ma spera che un giorno…”

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