I problemi e la fragilità

I problemi e la fragilità

Clelia, psicologa da ormai dodici anni, avvicina diverse persone turbate dai loro problemi.
Sostiene che ciascuno di noi ha la libertà di scegliere come comportarsi di fronte alle
difficoltà. Spesso, alcuni, senza rendersene conto, adottano un approccio sbagliato che
può compromettere il benessere psichico. Clelia analizza alcuni comportamenti che
incrementano la fragilità psichica. Li riassumo.


I comportamenti abitudinari, rigidi, ripetitivi ruotano intorno a una concezione statica della
realtà. La nostra piccola storia conosce ogni giorno diverse difficoltà o problemi. C’è chi li
affronta e chi invece apre le porte e finestre della propria mente perché escano e trovino
spazio nella testa degli altri. Altri pongono resistenza con l’ansia, la rassegnazione, il
lamento, la colpevolizzazione. La nostra mente dev’essere flessibile per conoscere le
diverse difficoltà e il modo di affrontarle. Analizziamo insieme i sintomi comportamentali di
coloro che sono perdenti di fronte ai problemi: ansia, rassegnazione, egocentrismo,
colpevolizzazione.

Le persone ansiogene di fronte ai problemi reagiscono con un’accentuata e incontrollata
eccitazione. Questo avviene quando si tratta di una normale preoccupazione che devono
affrontare o qualcosa di complicato. Tutto ciò che le circonda viene concepito come
pericoloso, ogni problema è vissuto come invasivo, irrisolvibile. Manifestano una reazione
ansiosa come se si trattasse di un pericolo letale. La loro testa accumula mille pensieri
ma, in realtà, non approdano a nessuna soluzione. Le scelte e gli atteggiamenti delle
persone ansiogene sono sempre identici e quindi non rapportati e appropriati alle reali
difficoltà da affrontare. L’atteggiamento comune di questi soggetti è l’agitazione che
normalmente scaricano sulle persone più vicine. Cercano indicazioni, consensi, appoggi,
inutili purtroppo perché non sono nemmeno in condizione di accettarli. Le attese sono
inesistenti: è così negativo il presente che il futuro sarà ancor peggio.

Le persone rassegnate sono presenti dappertutto. Di fronte ai fatti negativi o problemi da
risolvere si ripiegano su di sé, si scoraggiano, dimostrano un’accentuata passività e
dichiarano con toni pietistici di non farcela e quindi subiscono ogni conseguenza negativa.
I credenti sono soliti scorgere nelle difficoltà e sofferenze, la volontà di Dio e dicono di
voler portare la croce. I non credenti si affidano al destino o al fato e si abbandonano alle
sventure della vita. Se gli ansiosi sono portati a reagire alle difficoltà in modo disordinato, i
rassegnati tendono a rinunciare a tutte le difficoltà, ad assumere un comportamento
abulico, apatico. Si ripetono fino allo sfinimento che niente vale di fronte al destino, meglio
arrembare la propria navicella e aspettare che affondi. Sperare per i rassegnati è un
controsenso in quanto la vita per loro è simile a una ruota da molino che gira sempre su se
stessa mossa dal corso dell’acqua. Ciò che conta è girare fino all’esaurimento dell’acqua.
Gli egocentrici hanno un modo di reagire davanti agli eventi spiacevoli che si basa su
modalità possessive. Le affermazioni più comuni sono le seguenti: ‘Ecco, le cose ancora
una volta non vanno come dovrebbero andare. Sono dunque io a essere sbagliato,
inadeguato. Sono io che non vado bene’; ‘Ce l’ho sempre fatta in tutte le difficoltà, se non
ho superato l’ostacolo ora, qualche imprevisto o una situazione sfavorevole ci ha messo lo
zampino’. Rapiti da questa onnipotenza, gli egocentrici pensano di essere, in qualche
modo, raggirati dalle situazioni esterne, da un destino malvagio che presto ribalteranno.

Come possono, con questi pensieri dominanti, fare le giuste mosse per affrontare una
realtà esterna ben più complessa di questo pensiero grezzo ed egocentrico? Difatti si
chiudono in se stessi e chiedono all’attimo fuggente di fermarsi per possederlo, di essere

qualcosa da spremere ed esaurire nel piacere. Non conoscono la felicità come dono della speranza.

I colpevolisti, in modo del tutto automatico, affermano ripetutamente: ‘Io non c’entro, non
sono stato io a creare questi problemi. Sei tu che avresti dovuto, che non hai fatto, che
dovevi prevedere, che non mi hai detto!’. Si chiamano sempre fuori e accusano gli altri,
privandosi di fatto della possibilità di risolvere realmente il problema e, spesso, inquinando
anche le migliori relazioni. I colpevolisti, in questo modo, scansano le difficoltà
scaricandole su altri: ‘Se nostro figlio è ribelle, non studia, la colpa è di sua madre che lo
ha sempre protetto’; ‘Se il lavoro è stato sbagliato la colpa è del mio collega’. Questo
atteggiamento pilatesco è diffuso e ostacola la soluzione delle difficoltà e la collaborazione
stessa. I colpevolisti inoltre sono soliti affibbiare agli altri anche le difficoltà future. Se la
colpa è sempre degli altri, sono loro a buttare nel solco della storia l’erbaccia che
impedisce al buon seme di germogliare. Colpevolizzare gli altri è togliersi dal gioco della
vita ed escludere ogni possibile vittoria.

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