I pensieri sono mutabili

I pensieri sono mutabili

Eckart Tolle scrive: “È la nostra mente a causare i nostri problemi, se non si rinnova con le
altre persone, con “il mondo esterno”. È la nostra mente, con il suo flusso di pensieri
pressoché costante, che pensa al passato e si preoccupa del futuro. Noi commettiamo il
grave errore di identificarci con la nostra mente, pensando che questa sia la nostra
identità, mentre in realtà noi siamo esseri ben più grandi.” Molti dei nostri problemi
derivano dal fatto che ci identifichiamo con la nostra mente e riteniamo i pensieri che
possiede come se fossero un “organo vitale”. Ne consegue che permettiamo ai pensieri di
tiranneggiarci e di fare da padroni. Siamo, in un certo senso, schiavi di quei pensieri che
non si rinnovano mai.


Tutto ciò che attraversa la nostra mente sarebbe destinato a passare, a scorrere come un
fiume, se non lo trattenessimo. Se i nostri pensieri fossero liberi, passerebbero come i
fotogrammi di un film. Non avviene perché li consideriamo come un “impianto” mentale
permanente. Sono copioni mentali, che si reattivo in modo totalmente automatico, e
legittimano un modo di fare ripetitivo, abitudinario. Necessita, per una vita prudente,
staccarsi da questi copioni mentali e comprendere che i nostri pensieri non sono
immutabili. Non solo. Ci dobbiamo liberare anche dai pensieri ossessivi, cioè da quei
pensieri che l’emozione tiene intrappolati nella nostra psiche e ci impediscono ulteriori
conoscenze.

Cosa siamo noi allora? Siamo una presenza consapevole che grazie al contatto con la sua
interiorità o essenza, sa comprendere da dove giungono i pensieri, di chi sono
esattamente i messaggi che hanno preso residenza nella mente. Non sono solo
conoscenze, pensieri positivi, ma anche risentimenti, giudizi, false sicurezze. Possiamo
pertanto comprendere che una parte dei nostri pensieri che quotidianamente intasano le
nostre menti sono “virus” che ci sono stati instillati da altri in fasi diverse della nostra vita:
genitori, nonni, zii, insegnanti, amici, società o chiunque ci abbia influenzato. La catarsi o
purificazione di alcuni o tanti pensieri è necessaria, se vogliamo che la nostra mente
respiri liberamente e creativamente. Ma ciò avviene? No, noi conviviamo a lungo con
questi pensieri indotti nella nostra mente, specie nell’età evolutiva.

Impediamo a questi pensieri indotti di fluire: fissandoci su di essi, crediamo di poter trovare
una soluzione o di scacciarli, ma restano e diventano molto forti e pervasivi. Tutti i pensieri
su cui ci intestardiamo, diventano un “impianto mentale” di difficile controllo. Ci fanno
sprecare energie interiori che potrebbero essere altrimenti impiegate. Ci sono alcune
persone che conservano nella mente: ricordi, lutti, torti, offese, insuccessi e su questi
spiegano e giustificano la loro tristezza o depressione. Sembra che la loro vita sia ferma al
passato e che il presente e futuro non esistessero.

I pensieri passivi (in un certo senso ereditati) vanno focalizzati e affrontati con distacco
emotivo, come se non ci appartenessero. Smettiamo di dire, se accusiamo ansia: “sono
ansioso”, ma cerchiamo di andare più a fondo, osserviamo le cause di questo malessere
che vanno cercate in quella parte profonda dell’io in cui è radicato un modo di pensare
acquisito o imposto che è in conflitto con le scelte che la realtà ci suggerisce. Il duello che
scatena ansia spesso sta nella spaccatura interiore: pensiamo in un modo e la realtà ne
esige un altro. In altre parole, il nostro modo di pensare la realtà è scaduto, o lo si cambia,
altrimenti la mente manderà sempre più questo segnale ansiogeno. L’ansia è come un
salvavita che entra in azione nei momenti critici. Invece di demonizzarla cerchiamo di
identificare la causa. A volte si tratta solo di mettere fine a quel pensare ripetitivo che
esclude a priori il divenire della realtà, quindi affrontare esperienze nuove per acquisire
una mentalità nuova.

La saggezza umano, inoltre ci suggerisce che nulla dura per sempre: né le emozioni
positive né quelle negative. Anche nel caso delle prime è improprio dire “sono felice”. Noi
non siamo la nostra felicità, bensì dobbiamo ripetere: “sto attraversando una sensazione
positiva”, “sto sentendo un’emozione negativa”. Stiamo attenti che la nostra mente è molto
imprevedibile e trasforma erroneamente una sensazione in un giudizio. Per esempio la
sensazione dice: “sono stanco, mi sento vecchio” e la mente la traduce in “oramai è finita,
non ne vale più la pena, ho sbagliato tutto”. Non è così: il messaggio profondo è che è
finito un ciclo di situazioni e ne inizia un altro… Siamo pertanto in attesa di altri eventi e di
nuovi stati d’animo.

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