Giustizia e verità

Giustizia e verità

L’idea di giustizia non può prescindere dal concetto di verità, anzi, della Verità con la “v”
maiuscola. Non esiste giustizia che non sia anche verità, omaggio alla verità,
testimonianza della verità; e non esiste verità che non proclami l’esigenza della giustizia,
anzi, della Giustizia con la “G” maiuscola. Non c’è pertanto verità che non si regga sul
senso morale. La giustizia senza la verità è una tragica beffa ai danni dell’uomo. La ragion
d’essere della giustizia è quella di mettersi al servizio della verità.
Ecco perché la giustizia umana, che è il tentativo necessario, di tradurre la verità in
termini pratici, di emanare leggi, non deve accontentarsi del rispetto formale delle stesse.

Il rispetto solo formale delle leggi corrisponde, in pratica, al tradimento dello spirito da cui
scaturiscono, cioè dalla verità. La giustizia, infatti, se non traduce in atto il bisogno, insito
nell’uomo di verità, diviene lettera morta, un cadavere in putrefazione che manda cattivo
odore.

Una cultura solo legalista che si attiene solo alle leggi e non si rapporta alla verità cade in
una trappola o drammatico vicolo cieco che danneggia la verità. Lo zelo nel ridurre la
verità in legge, finisce per tradire la giustizia, perché la vera giustizia cammina insieme alla
verità è tutt’uno con essa. A sua volta, la verità, non può essere concepita al di fuori di un
quadro di valori vagliati dalla retta coscienza. Solo una persona morale conosce la verità, il
bene e il male e promuove i principi giuridici che sono la base delle leggi. In altre parole, la
nostra conoscenza mette in luce i fatti mentre la nostra coscienza verifica il bene o il
male degli stessi. Infine il legislatore sancisce le regole o leggi. Tutto ciò è a tutela della
verità.

Il pensiero moderno, però, si è allontanato da questa felice intuizione originaria; dopo che
gli uomini, per migliaia d’anni, hanno riconosciuto l’identità di Verità e di Giustizia, e hanno
giustamente valutato il loro legame necessario con la morale, la filosofia moderna ha
deciso che tali legami non sono necessari, anzi, che non sono degni di una società
avanzata; che la giustizia si deve emancipare dalla morale, o almeno dalla morale
tradizionale, fondata sull’essere, per aggiornarsi continuamente al cambiamento sociale e
culturale in atto; e che la Verità, con la “V” maiuscola, non esiste né mai è esistita, dunque
che è sbagliato e dannoso volerne fare la base della giustizia. Già l’impero romano
separava la verità dalla giustizia, solo le leggi avevano valore.

Lo stesso Pilato, rappresentante della concezione romana della legge, si meraviglia come
i Giudei si fossero infervorati a condannare Gesù per la sua verità che annunciava, ecco
perché ironicamente chiede a Gesù: “Che cos’è la verità?”, ma non attende nemmeno la
risposta. Per lui, romano, erede della tradizione antica, è ovvio che la legge non discende
necessariamente dalla verità; che non si può nemmeno dire, con precisione, che cosa sia
la verità; è chiaro che la legge si limita a stabilire delle norme e a sorvegliare che esse
siano applicate, e a punire coloro che le infrangono.

Solo con l’avvento del cristianesimo si afferma che la verità e la giustizia agiscono
insieme. Tutta la filosofia medievale ribadisce questo concetto, chiaramente formalizzato
anche da San Tommaso: se insorge una discrepanza fra quanto ordina la legge e quanto
esige la coscienza, bisogna dare ascolto alla voce della coscienza. È la vittoria dell’uomo
interiore sull’uomo esteriore, della Verità sulla legge con la “L” minuscola, cioè come
insieme di norme pratiche, puramente umane, puramente formali.

La cultura moderna non accetta più questo principio, anche perché Dio non viene più
considerato verità assoluta fondamento di tutte le verità relative. La cultura moderna non
rapporta nemmeno la giustizia alla coscienza, considerata in passato ciò che suggeriva la
parte profonda di noi stessi sul bene e sul male. Ora le leggi sono fine a sesse, pensate e
emanate per assecondare la mentalità del tutto lecito. Per ogni reato c’è un articolo del
codice che lo contempla e lo punisce; e per ogni articolo del codice c’è una pena
corrispondente. Molto semplice. La Giustizia si è persa per strada, è rimasta sola la legge,
con la “L” minuscola: e questo è tutto. Siamo ricaduti nel legalismo farisaico: chi rispetta la
legge è a posto, chi non la rispetta è reo.
Esiste una possibilità di ritornare all’idea della Verità e della Giustizia, di rifondare la

Giustizia sopra la roccia incrollabile della Verità, senza però ritornare all’identificazione
della legge civile e penale con la legge religiosa, come tuttora avviene nelle legislazioni di
tipo fondamentalista? Esiste la possibilità di superare il formalismo e di riconquistare lo
spirito della legge, che è spirito di Verità e di Giustizia? Forse; ma a un patto di ricostituire
un quadro di riferimento morale, nel senso più alto del termine. Una società e una cultura
che ha smarrito il senso morale e perfino la consapevolezza che sul senso morale regge
anche il sistema giuridico, non potranno mai più ritrovare né la Giustizia autentica, né, di
conseguenza, la Verità.

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