Cosa faccio qui?

Cosa faccio qui?

“Cosa sto facendo qui?”. È una domanda che in genere arriva improvvisamente, in un
giorno come tanti, mentre siamo impegnati in un’attività consueta. Una sensazione di
estraneità a ciò che stiamo vivendo in quel momento. È una domanda sgradevole e la
scacciamo via, ma lei si ripresenta con forza sempre maggiore. La scacciamo ancora ma
lei si riafferma: «Che senso ha tutto questo?». Se le dessimo ascolto fin da subito e
cambiassimo qualcosa nella nostra vita, di sicuro non tornerebbe più.

Purtroppo quasi sempre, questa domanda, la ignoriamo, per mesi o anni, e ogni volta che
si ripresenta la soffochiamo, aumentando le solite attività. Lei si fa comprimere per un po’
finché, un giorno, esplode di colpo e diventa uno dei sintomi-cardine della depressione
clinica. Il non senso, che prima riguardava un ambito preciso, si espande nel cervello a
macchia d’olio e diventa un “non senso” generale, che impregna di sé anche ambiti di vita
che invece un senso ce l’hanno. A quel punto la situazione è delicata, perché il non senso
è un sintomo ambivalente: se lo si “tratta bene” ci porta a rinascere e a uscire
dalla depressione, se lo si “tratta male” ci spinge ancora più giù.

Se la domanda “cosa sto facendo” vale, diventa una preziosa bussola per orientarci verso
cambiamenti di vita più in sintonia con ciò che siamo e quindi per tener lontana
la depressione. Se la domanda viene soppressa dai psicofarmaci  o droghe per allentare o
allontanare il malessere psichico, compromettiamo così i nostri pensieri e ci affidiamo a
un senso di vivere artificiale, allontanandoci del senso vero. E quando smettiamo di
prenderli, la depressione arriva (o torna) puntuale.

La perdita di senso è uno degli strumenti più potenti che il cervello utilizza per impedirci di
affrontare il dolore a cui ci stiamo sottoponendo con ostinazione: troppo lavoro o lavoro
che non piace, amori finiti o non affini, atmosfere ostili, assenza di creatività e monotonia
sono le principali “micce” di questo sintomo.

Sfruttiamo i primi segnali .Se la depressione è ancora lieve, cogliamo al volo la possibilità
di volgere questo segnale a nostro vantaggio. Potremmo prendere in considerazione l’idea
di una psicoterapia breve orientata a capire che cosa ha perso senso nella tua vita e
modificare le cose. Ci vuole prontezza e coraggio, ma sempre saremo deviati dal
benessere e la nostra ricerca si affievolisce o s’interrompe.

Carl Gustav Jung, padre della psicologia analitica, dice: «Diamo al tempo la possibilità di
farci da madre». Cioè offriamo al cervello il tempo di ricomporre spontaneamente un
nuovo assetto. Il Senso ritornerà da solo se smetteremo di cercarlo e se tratteremo il
tempo come un grembo paziente. Scegliamo, se è necessario, uno specialista “aperto”,
solare, se la depressione è in forma acuta, frequentiamo gruppi di meditazione nei casi più
gravi che proteggano da regressioni mentali ulteriori. Conserviamo però i sintomi del non
senso che ci stanno a dire di non sospendere la ricerca.

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