”Voglio il massimo della pena”.

”Voglio il massimo della pena”.

L’opinione di Don Chino
2014-06-16 13:36:17

Con queste parole, la scorsa notte, Carlo Lissi, mettendo la testa fra le mani, nel corso di un interrogatorio dei carabinieri, ha fatto la sua prima ammissione di colpevolezza
Con queste parole, la scorsa
notte, Carlo Lissi, mettendo la
testa fra le mani, nel corso di un interrogatorio dei carabinieri, ha fatto la
sua prima ammissione di colpevolezza. Poi ripetuta davanti al pm al quale ha
reso piena confessione.
Lissi  ha sterminato la famiglia e poi è andato a
vedere la partita dell’Italia da amici, come se niente fosse. Una
notizia ghiacciante: è stato posto in stato di fermo con l’accusa di
triplice omicidio. il marito di Cristina Omes, la donna trovata uccisa con
i suoi due figli nella villa di famiglia a Motta Visconti. Un delitto efferato,
spietato, quello di cui è accusato Lissi, che ha creato angoscia, paura. La
donna, Cristina Omes, di 38 anni, e i due piccoli, Giulia e Gabriele, di 5
anni e di 20 mesi, sono stati sgozzati e sui loro corpi ci sono numerose
altre lesioni che non fanno escludere un accanimento. Fu il marito a chiamare i
carabinieri al rientro in casa dopo la partita della nostra nazionale. Un fermo
quello di Lissi che pone in noi tutti almeno due domande: perché ha ucciso i
suoi figli e la loro mamma; perché questo sadico atteggiamento dopo il
massacro? Non so capire, non posso capire come la mente umana possa essere
tanto feroce. Non riesco a ricevere dentro di me la notizia di un padre che
s’avventa con il coltello sul corpicino dei suoi due piccoli chiamati alla vita
perché potessero crescere accanto a un padre e una madre felici. Rabbrividisco
solo a pensare che quella donna scelta e amata da Carlo Lissi per essere la sua
donna e madre dei suoi figli venga sgozzata brutalmente. Allo sconforto fa seguito
in molti un forte pessimismo che mette in dubbio il sentimento più grande,
l’amore. Quando questo sentimento viene ucciso tra le mura domestiche ci viene
di ripetere dentro la nostra coscienza il grido di Salvatore Quasimodo: “Uomo
del mio tempo, sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio
tempo. Eri nella carlinga, con le ali maligne, le meridiane di morte, t’ho
visto – dentro il carro di fuoco, alle forche, alle ruote di tortura. T’ho
visto: eri tu, con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio, senza amore,
senza Cristo. Hai ucciso ancora, come sempre, come uccisero i padri (…)”. Le
parole del poeta sembrano però insufficienti a descrivere tanto orrore perché la
violenza viene consumata non nei campi di sterminio, alla ruota della tortura,
ma in una villetta a schiera dove vivevano due piccoli con la loro mamma. Il
carnefice sembra sia proprio il padre, quel padre che portava in braccio quelle
creature, quella mamma che ha baciato, sorriso, detto di sì al suo futuro
carnefice. Queste mie affermazioni possono essere forti, ma sono insufficienti
a spiegare l’orrendo fatto. Non può spiegarlo la gelosia tra i partner e
nemmeno uno scompenso psichico improvviso, uno scatto di collera, una violenza
latente. Noi uomini e donne sconvolti vorremmo almeno capire il movente di
questa tragedia. Ma poi non ci basta, non ci basta sapere la causa perché
niente può spiegare questo gesto belluino. Mi sembra però utile, ancora una
volta, sottolineare una crisi profonda in atto inarrestabile. Quando si macchiano
di sangue le quattro mura domestiche da parte di un famigliare siamo di fronte
al pericolo più grande che in termini realistici si chiama “morte dell’amore”.
Se l’amore muore in una famiglia apparentemente normale, è segno che questa
“morte” c’è e se non fermiamo la metastasi di questo cancro nell’anima, altri
fatti feroci seguiranno. Ma come fermare quest’ombra di morte che oscura la
mente e raggela il cuore di un padre e lo fa assassino della sua famiglia? Le
risposte sono diverse e gli psicanalisti fanno a gara (anche in altri fatti) a
proporre i rimedi, utili ma non efficaci. Io m’aggrappo a una risposta semplice
ma necessaria: occorre togliere all’amore di un uomo e una donna la violenza
della possessività. L’amore è libertà, nessuno è padrone della vita dell’altro,
dell’altra, tantomeno della vita dei figli. Quel “ti uccido perché mi hai
tradito; ti uccido perché vuoi la separazione” non deve esistere. La vita
dell’altro è dell’altro e basta! Chi è padrone della vita dei propri cari vuole
dominare sui pensieri, affetti e quindi anche sulla loro esistenza. “Ti faccio
fuori perché ti ho perso; uccido i tuoi figli per uccidere te mamma; uccido
tutti i miei famigliari e poi mi uccido”, queste compulsioni esprimono il
potere sull’amore e non la libertà dell’amore. E’ giunto il momento di
intervenire e correggere questa nuova forma di schiavitù, la schiavitù
dell’amore. Questa nuova schiavitù s’è annidata nelle nostre case, tra le
coppie che sono dette normali che insegnano ai loro figli a pattinare, a
nuotare e che i partner portano in sé due sentimenti contrastanti ma possessivi:
amore e odio. 

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