Un racconto L’ANGOSCIA PER IL PECCATO

Un racconto L’ANGOSCIA PER IL PECCATO

Pensaci Su…
2017-03-02 15:44:00

Mi ero inginocchiato in un confessionale, il prete mi guardava attraverso la grata. Mi assolse con una raccomandazione:

Mi ero inginocchiato in un
confessionale, il prete mi guardava attraverso la grata. Mi assolse con una
raccomandazione: “Non perda mai l’angoscia del peccato”. Quando fui seduto su
una panca della chiesa appoggiato allo schienale volli capire che cosa
significasse “angoscia”. Un sentimento chiaro che proviamo diverse volte nella
vita, tranne che di fronte al peccato. Quando pecchiamo siamo abilissimi nel
rimuovere la colpa o giustificarla in mille modi. Da ragazzo mia madre voleva
che ogni sabato mi recassi da don Luigi a confessarmi. Un prete con uno sguardo
fulmineo, una voce baritonale e due mani che sembravano due pale a disposizione
per la penitenza. Pochi amici si accodavano per accedere al confessionale di don
Luigi. Pure io desideravo confessarmi da un altro prete, ma poi le mamme
d’allora non esitavano a informarsi da qualche zitellona che sostava in chiesa
e sapevano quando e da chi ci eravamo confessati.

Il rischio consisteva di
ricevere, al rientro in casa, pure la “cresima”, ossia qualche sostenuto
scappellotto e di sentirsi dire che non c’eravamo confessati bene. Don Luigi
per mia mamma dava e certificava l’assoluzione. Mai però ricordo di aver avuto
l’angoscia dei peccati, piuttosto ebbi tanta paura di fronte all’omone dai
capelli argenteo e con la tabacchiera a portata di mano per sniffare l’odoroso
tabacco, prima di darti l’impegno a non peccare più. Del resto, prima di
presentarsi al “tribunale” di don Luigi nella navata della chiesa s’udivano le
voce delle zitellone che mormoravano: “Preparatevi bene, confessarsi male è un
sacrilegio”. Quella parola “sacrilegio” veniva ripetuta nelle nostre famiglie
dove si parlava più d’inferno che di Paradiso.  Ricordo un compagno di classe minuto e debole
che spesso, dopo mezz’ora d’attesa per aspettare il suo turno, perdeva i sensi
e s’accasciava sul pavimento. Qualcuno sosteneva che era molto sensibile,
preoccupato del male che aveva fatto. Poi si seppe che soffriva d’epilessia.

Niente quindi rimorso,
angoscia per i suoi peccati. Nemmeno i nostri papà mi sembravano “angosciati”
quando in sagrestia, in occasione delle feste solenni, si mettevano in fila per
confessarsi. Parlavano, ridevano e avevano un solo desiderio: sbrigare il tutto
in breve tempo, cioè: confessarsi, fare la comunione, ritirare il santino per
documentare di aver soddisfatto il precetto, quello di “confessarsi e
comunicarsi almeno una volta all’anno”. Nessuna angoscia quindi, ma solo un
precetto della chiesa da soddisfare. Uniche accessioni erano le giornate
speciali in cui un predicatore scelto, gridava dal pulpito anatemi, richiami
alla conversione, e attribuiva tutto il male del mondo ai nostri peccati
commessi. Erano giorni in cui si faceva il “bucato” dell’anima. In paese si
avvertiva, per qualche giorno, una momentanea santità o meglio uno sforzo
comune per essere migliori. Ora tutto è cambiato. 

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