UN PAESE CIVILE E’ SOLIDALE

UN PAESE CIVILE E’ SOLIDALE

L’opinione di Don Chino
2014-10-05 11:09:28

“Il dovere dell’ospitalità”, si va dicendo. Ma la solidarietà è una capacità umana che non s’inventa all’improvviso.
“Il dovere dell’ospitalità”, si va dicendo. Ma la
solidarietà è una capacità umana che non s’inventa all’improvviso. I profughi
che approdano sulle nostre coste disturbano, fanno paura.  Non si vogliono. Sono lì, avvolti nei loro
quattro stracci, con una specie di “corteccia” di sudiciume appiccicato alla pelle:
gridano, piangono, litigano, aspettano che i loro nomi siano affidati ad un
elenco per il trasferimento. Dove? Non lo sanno. Attendono da giorni un piatto,
una coperta, un giubbotto per ripararsi la notte. 

Non servono a questi miserabili le tante parole e commenti
che si fanno nei palazzi del potere, ma gesti veloci di solidarietà, di
intelligente carità. Mai come in questi giorni penso agli spazi vuoti, alle
costruzioni presenti sul territorio nazionale mai usate. Ci sono complessi,
costruiti con i soldi dello Stato, mai aperti perché superflui. Penso a quelle
strutture presenti in molte regioni abbandonate, non completate. Basterebbe
chiedere ai conduttori di “Striscia la Notizia” per avere indicazioni esatte:
loro hanno visitato queste costruzioni destinate al degrado. I sindaci sanno
d’avere questi spazi inutilizzati ora necessari per sopperire a questa
preoccupante emergenza. Non si dica che quel edificio “era destinato a…”. Ma
che destinazione potrebbe avere un carcere finito dieci quindici anni fa  e mai 
utilizzato; a che serve una caserma vuota, un villaggio per turismo
abbandonato; zone industriali con capannoni, case, destinate allo sfascio?   
Quanto spazio per accogliere questi poveri per poi decidere
sul loro futuro! Si ha paura, si temono questi poveri perché diversi da noi,
non si vogliono vicini alle nostre case, scuole, strade, luoghi di lavoro.  Il cardinale Bagnasco, a nome di tutti i
vescovi italiani ha SPESSO pronunciato parole vere, forti. Ha invitato tutti a uno
stile di vita di “convivenza e non di convenienza”.  Io credo però che la Chiesa, la mia Chiesa,  debba in questo momento aprire le sue braccia
a questi nostri fratelli. E’ questo un momento di grazia, di Dio per il Papa, i
vescovi, i sacerdoti, i credenti. 
Dove c’è il dolore,
la sofferenza c’è Dio, si legge nel libro sacro. E allora? Accogliamo nelle
nostre strutture spesso vuote e inutili queste disperati. Non solo le Regioni
censiscano i loro spazi abitativi vuoti, ma anche le Diocesi lo facciano. In
questo momento terribile questi poveri interrogano la Chiesa e nello stesso
tempo la verificano nella sua capacità solidale e caritativa. Possa la voce di
Cristo penetrare nell’anima di noi religiosi: “Avevo fame e mi hai sfamato,
nudo, vestito, senza tetto ospitato, ammalato accolto”. 
E’, a mio avviso, un
dovere per la mia Chiesa leggere “i segni dei tempi”, risvegliarsi, rovesciare
certi schemi obsoleti di presenza, dare inizio a un dialogo con i diversi, con
i nuovi  “schiavi” di questo secolo e favorire
una nuova comunità cristiana in cui non c’è più “né schiavo, né libero”, né
tunisino, né  libico. Insomma, cari amici,
scendiamo da Gerusalemme a Gerico e prima d’intanarci nel tempio inciampiamo
nel povero e occupiamoci di lui.   
Non tacciatemi d’ingenuità se dico alla mia Chiesa che sia
vicina a questa trasformazione epocale, a questo esodo impensato di popolazioni
da un continente all’altro e che i credenti non abbiano paura del povero Lazzaro.  Noi credenti dovremmo essere gli atleti della
carità perché è voluta da Cristo e lui che ci spinge. Se necessita nel mondo la
rivoluzione della solidarietà, soprattutto i ricchi, i benestanti non possiamo
disertare.

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