Sul Mediterraneo: i panfili e i barconi

Sul Mediterraneo: i panfili e i barconi

Pensaci Su…
2015-09-04 09:09:27

Il bambino, di 3 anni, stava fuggendo con la famiglia da Kobane. Il padre, unico sopravvissuto: «Mi sono sfuggiti dalle mani». Aveva tre anni. Ed era nato a Kobane, nel nord della Siria. Scappava da una guerra che ha ridotto in polvere la sua città e ucciso migliaia di suoi compagni di giochi
Il bambino,
di 3 anni, stava fuggendo con la famiglia da Kobane. Il padre, unico
sopravvissuto: «Mi sono sfuggiti dalle mani». Aveva tre
anni. Ed era nato a Kobane, nel nord della Siria. Scappava da una guerra che ha
ridotto in polvere la sua città e ucciso migliaia di suoi compagni di giochi.
Aylan Kurdi. È questo il nome del bambino morto annegato nel tentativo di
raggiungere l’Europa, la cui immagine ha fatto il giro del mondo. Questa famiglia, come tante
altre, si era affidata a un barcone per salvarsi dalla guerra e dalla fame; ora
il padre rimasto solo dice di voler passare gli anni della sua vita accanto
alle tombe dei suoi cari.                                                                                                                                     

I tragici fatti si susseguono e le
bare aumentano mentre la gente si abitua. I cittadini più facoltosi percorrono
lo stesso mare sui velieri e sono persino infastiditi da uno spettacolo umano
di miseria e di morte. Ricordo quello che disse il grande opinionista Indro
Montanelli: “Siamo tolleranti e civili, noi italiani, nei confronti di tutti i diversi. Neri,
rossi, gialli. Specie quando si trovano lontano, a distanza telescopica da noi”. 
Forse i ministri degli Esteri di
Italia, Francia e Germania hanno firmato in seguito a tante tragedie un
documento comune per chiedere di rivedere le regole europee in materia di asilo
e “un’equa ripartizione dei rifugiati sul territorio europeo”. Il documento, spiega
la Farnesina in una nota, “mette in rilievo come, alla luce dei limiti e delle
manchevolezze chiaramente mostrati dall’attuale sistema di regole europee in
materia di asilo, creato ormai 25 anni fa, occorra rivederne contenuti e
attuazioni”.                                                    
Mi viene da esclamare: finalmente!
Anche se i dubbi restano perché spesso le dichiarazioni non trovano attuazioni
reali, concrete. La storia ha sempre assistito, preparata o no, all’esodo delle
popolazioni alla ricerca di libertà, del cibo, di un futuro migliore. Quello
che manca in questo momento, è la capacità di accoglienza, da parte delle
popolazioni europee. 
Si possono analizzare i motivi,
anche se uno resta dominante: la condizione repulsiva di molti cittadini. Manca
la disponibilità interiore che nasce dalla compassione, dalla sofferenza di migliaia
di persone ammassate sui barconi della morte. Manca la sensibilità del cuore
che fa tacere le ragioni della mente. Non basta la commozione di fronte a una
mamma che annega con i suoi bambini. Spesso di fronte alla commozione per
l’immagine di un bambino annegato tra le braccia del padre fa seguito una nuova
immagine televisiva che distrae, cancella la precedente…

  

“Respingere
gli immigrati è un atto di guerra”, ha affermato Papa Francesco, ripetendo il suo
forte appello a favore dell’accoglienza degli immigranti condannando duramente
coloro che, invece, li respingono. “Pensiamo – ha spiegato il Papa – a quei
nostri fratelli Rohingya che sono stati cacciati via da un Paese, da un altro,
da un altro. Vanno sul mare, quando arrivano a un porto, a una spiaggia, gli
danno un po’ d’acqua, un po’ da mangiare e li cacciano via. Questo è un
conflitto non risolto, questa è guerra, questo si chiama violenza, si chiama
uccidere”. 
Di fronte
a questo appello, fermiamoci per favore, non possiamo lasciare morire mamme e
bambini, papà e giovani alla ricerca di speranza, di una vita possibile. Chi
siamo noi per respingere queste esistenze disperate? O peggio ignorarle mentre
si transita sullo stesso mare con navi da turismo attrezzate per le crociere,
il divertimento? Chi siamo noi per tenerci le nostre fortune e piaceri, negando
a questi poveri il diritto di esserci, di vivere? Non sono le mie domande
retoriche, ma vogliono essere solo un grido inarrestabile della coscienza.

 

 

Lo scrittore Erri De Luca, si affida alla sua
coscienza e si chiede: “Che cosa rappresenta il Mediterraneo per i clandestini
e per i turisti? La risposta è cruda: “Per quelli che l’attraversano
ammucchiati e in piedi sopra imbarchi d’azzardo, il Mediterraneo è un buttadentro”. Poi commenta: “Al
largo d’estate s’incrociano zattere e velieri, verso i più opposti destini. La grazia elegante, indifferente di una vela gonfia e pochi passeggeri a bordo, sfiora la scialuppa degli insaccati. Non risponde al saluto e all’aiuto. La
prua affilata apre le onde a riccioli di burro. Dalla scialuppa la guardano sfilare senza potersi spiegare perché,
inclinata su un fianco, non si rovescia, affonda, come succede a loro. Qualcuno
di loro sorride a vedere l’immagine della fortuna. Qualcuno ci spera, di trovare un posto in
un mondo così. Qualcuno di loro dispera di un mondo così”.

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