QUEL PICCOLO MONDO DI IERI Tutti in fila in processione

QUEL PICCOLO MONDO DI IERI Tutti in fila in processione

L’opinione di Don Chino
2019-05-23 23:13:38

“I ricordi che ci riportano nel passato hanno qualcosa da suggerirci, da insegnarci. Conservano esperienze, desideri raggiunti, ideali che solo il futuro ha potuto accertare. Nel mio piccolo mondo di ieri, povero di cose e ricco d’umano, ho conosciuto persone, vissuto fatti che hanno lasciato in me il desiderio di correre verso il futuro con in mano la fiaccola accesa.” Don Chino Pezzoli

Tutti in fila in
processione

La processione, nei
nostri paesi, era un rito, una tradizione da non perdere. La statua della
madonna o del santo patrono veniva prelevato dalla nicchia da alcuni uomini
forzuti e collocata nella navata della chiesa, visibile ai fedeli che cercavano
di occupare i primi posti vicino al simulacro. La madonna soprattutto, nella
devozione popolare, era auspicio di salute, di benessere, di tante grazie.
 

Celebrazioni, messe,
panegirici abbondavano per invocare l’aiuto del patrono sui mali del mondo, ma
soprattutto su quelli delle famiglie. Don Pancrazio, un parroco conosciuto dai
valligiani per i suoi scrupoli, si soffermava fervoroso sul suo tema preferito:
il sesto comandamento. Sugli altri nove sorvolava, sul sesto non poteva, perché
la “purezza” era il cardine che reggeva la pastorale parrocchiale.
 

Salito sul pulpito e sporgendosi in avanti con
il busto a rischio che perdesse il baricentro e agitando le braccia, don
Pancrazio, tuonava sull’ultima moda, quella dei vestiti con le maniche corte e
delle gonne accorciate. Richiamava la responsabilità delle mamme che
permettevano alle figlie di uscire da sole con il fidanzato e di appartarsi
lungo i sentieri dei campi di grano. Se, sotto il pulpito, qualche ragazza
sbuffava e sottovoce contestava con l’amica, apriti cielo, il prete le puntava
il dito accusatore: “Sta zitta Tonina, altrimenti faccio il tuo nome!”.
 

Dopo la predica e
alcuni avvisi, la processione si snodava per le strette e storte strade, sotto
i balconi e le finestre addobbate. Le ragazze aprivano la processione portando
lo stendardo delle figlie di Maria, con il velo bianco in testa, vestito nero,
scarpe bianche per testimoniare il candore interiore. Seguivano le ragazze
adolescenti aspiranti ad essere degne di appartenere al gruppo che le precedeva.
Venivano poi le mamme con la candela in mano e gli occhi fissi verso le figlie
perché non si distraessero ammiccando qualche giovanotto durante il rito.
 

I bambini e le
bambine con i loro gagliardetti dell’Azione cattolica, procedevano lungo le
strade, in fila indiana, riportati sovente all’ordine dalle zitelle o delegate
che non risparmiavano ceffoni, sgridate, spintoni. I papà e i giovani,
seguivano la statua del patrono, come se fossero dei gendarmi pronti a
difenderlo. I giovani tenevano d’occhio la fila delle fanciulle quando era di
ritorno e s’avvicinava. Sembravano occhiate fugaci, mentre erano vere
radiografie.
 

Per sventare i peccaminosi sguardi, don
Pancrazio intonava con baritonale ardore: “Noi vogliam Dio Vergin Maria”. Ma i
giovanotti, in quel momento, volevano almeno guardare, ammirare le fanciulle
con il velo bianco. Adornavano il simulacro del santo o santa, i bambini e le
bambine che aspettavano quel giorno per pavoneggiare, per la seconda volta, con
l’abito della prima comunione. I preti dei paesi vicini presenziavano alla
cerimonia per onorare il santo patrono, ma anche per mettere le gambe sotto il
tavolo e attutire i crampi allo stomaco che, in quei tempi, non risparmiavano
neppure chi abitava sotto il campanile.
 

Il corteo alternava
preghiere, inni, giaculatorie. Le voci canore poi si rincorrevano, si
distanziavano fino a formare uno, due, tre cori nello spazio di pochi metri. I
cori si ricongiungevano in chiesa al termine della processione, quando don
Pancrazio, soddisfatto di aver riportato nell’ovile le sue pecorelle, intonava
il canto insostituibile: “Mira il tuo popolo, o bella Signora, che pien di
giubilo oggi ti onora”. Lo sguardo della Madonna non mancava verso un popolo
numeroso e devoto, ma non mancavano neppure gli sguardi delle mamme che
ispezionavano le panche per accertarsi della presenza in chiesa delle figlie e
dei figli.
 

Non sempre c’erano
tutti e tutte. Con fatica e spintoni, a destra e a manca, le mamme uscivano
dalla chiesa alla ricerca affannosa delle figlie che avevano perso il “santo
timor di Dio”.  Povere figliole!
Raggiunte da uno schiaffo, da un urlo, venivano riportate in chiesa proprio nel
momento in cui si scambiavano con alcuni ragazzi: un sorriso, un saluto, un appuntamento.
Queste mamme mascoline e imperanti che riportavano le figlie in chiesa
tirandole anche per i capelli, ottenevano la stima di don Pancrazio che spesso
le citava come esempio.
 

Ricevuta la
benedizione con la reliquia, il popolo usciva sul sagrato per festeggiare le
ultime ore della giornata. Prima di rincasare le ragazze facevano quattro passi
per le vie del paese, occasione unica, per accontentare l’occhio, sfilando,
orgogliose come principesse, davanti ai giovanotti che le ispezionavano dalle
scarpe in su. Don Pancrazio chiudeva la porta della Chiesa, mentre l’altoparlante
di qualche balera che voleva adescare i clienti diffondeva nell’aria le
consuete canzoni.
 

Un mondo quello di
ieri che possiamo classificare nei riti, nelle censure, nei parroci bacchettoni
e nei genitori gendarmi. È sempre difficile però giudicare il passato con le
nostre idee e modi di vivere. Allora, nonostante certi limiti, si cresceva
bene, onesti, con una coscienza con qualche scrupolo che ci guidava nelle
scelte. I genitori, preti e le maestre con i loro consigli testimoniavano ai
giovani alcuni valori o verità necessarie per dare senso alla vita.

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