QUEL PICCOLO MONDO DI IERI : Sarto e Sarte

QUEL PICCOLO MONDO DI IERI : Sarto e Sarte

L’opinione di Don Chino
2019-01-09 08:23:02

“I ricordi che ci riportano nel passato hanno qualcosa
da suggerirci, da insegnarci. Conservano esperienze, desideri raggiunti, ideali
che solo il futuro ha potuto accertare. Nel mio piccolo mondo di ieri, povero
di cose e ricco d’umano, ho conosciuto persone, vissuto fatti che hanno
lasciato in me il desiderio di correre verso il futuro con in mano la fiaccola
accesa.”
Don Chino
Pezzoli

Sarto
e Sarte

Desidero
mettere  in rilievo il mestiere del
sarto, cioè colui che confezionava vestiti su misura, creando modelli secondo le
indicazioni del cliente, ma mettendoci molto di suo nel tagliare e cucire il
vestito, che nell’impostazione dello stesso. In ogni paese nei primi decenni
del novecento c’erano alcune botteghe del sarto e delle sarte. Le famiglie
sceglievano il sarto di fiducia, ma soprattutto meno oneroso. Il prezzo
dell’indumento veniva pattuito all’ordinazione. La stoffa, di solito, la
forniva il cliente.

Fuori
della bottega c’era infissa la scritta: “Sarto per uomo”, “Sarto per donna”.
Erano pochi i giovani che apprendevano questo mestiere perché implicava un
lungo apprendistato e di conseguenza, all’inizio, i guadagni erano scarsi se
non nulli. Proprio per acquisire la manualità e apprendere i segreti del
taglio, un tempo, moltissime ragazze d alcuni ragazzi prestavano servizio
gratuito nelle sartorie.

Questi
giovani venivano debitamente “sfruttati”, con la scusa che imparavano un
mestiere, ma intanto contribuivano, con il loro lavoro, a confezionare capi di
vestiario per  uomini e donne, ragazzi e
ragazze che indossavano alla domenica e nelle circostanze famigliari: matrimoni,
funerali, viaggi.

Nelle
grigie e fredde giornate invernali, si aveva la massima unità lavorativa all’interno
delle sartorie: chi intenti a riunire le cuciture, chi a fare asole, chi i
sottopunti, chi altro ancora. In genere tutte le donne e uomini erano radunati
in una grande sala, dove in mezzo campeggiava un lungo e largo tavolo. Questo
serviva per stendere il panno, segnarlo con il gessetto e poi tagliarlo.

Normalmente
l’operazione del taglio veniva fatta sempre dal sarto o da qualche esperta
sotto la sua stretta osservazione. Di norma si imparava il lavoro guardando,
carpendo i segreti facendo attenzione alle varie successioni di
confezionamento. Alla fine, quando qualcuna aveva acquisito una certa
padronanza dell’arte, allora poteva perfezionarsi e passare al taglio, che
rimaneva l’apice dell’apprendimento

Certo
è, che il lavoro così concepito diventava anche un momento “conviviale”, dove i
pettegolezzi, trovavano un fertile terreno di coltivazione. Forse è capitato a
tutti, una volta nella vita di andare in questi laboratori di sartoria: di
solito il sarto, vestiva sempre con camicia e gilè e su questo aveva sempre
puntati alcuni aghi con il filo. In ogni angolo della stanza c’era un gruppetto
di ragazze, che sedute su una sedia o uno sgabello, erano impegnate nel proprio
lavoro. Il sarto si avvicinava al cliente e con una fettuccia metrica misurava
la vita, la gamba, il braccio e non so cos’altro. Quando poi  il cliente ritornava, il sarto gli provava
addosso la giacca o i pantaloni, segnati da dei grandi punti di filo bianco.
Poi, puntava degli spilli, dicendo al cliente di stare fermo, che altrimenti lo
avrebbe punto. Successivamente, si passava al momento in cui il cliente
indossava il vestito finito e dove i complimenti di circostanza diventavano
obbligatori.

Tutte
queste operazioni implicavano tempo, ma anche una buona manualità e visione
dell’insieme, nonché una certa perizia tecnica per creare la vestibilità del
capo. Questi fattori creavano la rinomanza del sarto o sarta e di conseguenza
determinavano non solo la quantità di lavoro, ma la “qualità” del cliente.

Noi
ragazzi andavamo dal sarto in occasione della prima comunione e della cresima.
Indimenticabile è quel metro con il quale misurava le spalle, la circonferenza
e lunghezza del torace nonché le gambe. Il tessuto era stato comperato a misura
Dai venditori ambulanti. Il giorno in cui sfoggiavamo il vestito nuovo la
domanda delle comari è sempre la solita; “Chi è il sarto che te la fatto?”.
Mentre le nostre mamme ci raccomandavano di non sporcarlo o rovinarlo. “Deve
servire l’anno prossimo per tuo fratello”, sussurravano”.

 

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