QUEL PICCOLO MONDO DI IERI : Quando il pane si faceva in casa

QUEL PICCOLO MONDO DI IERI : Quando il pane si faceva in casa

L’opinione di Don Chino
2019-07-03 19:12:24

Quando il pane si
faceva in casa

Il segno della croce sul pane da
lievitare. Un gesto semplice e antico, espressione di una spiritualità sentita,
che prepotente interviene nella vita quotidiana. Quante volte abbiamo visto
farlo alle nostre nonne… e, racchiuso in quel piccolo gesto, una sorta di
benedizione del pane. Quando il pane lo si faceva in casa…E non per far
economia, quanto piuttosto per una diffidenza della qualità della farina dei
fornai, oltre che per una questione “igienica”. E poi
perché in quell’azione, tramandata di generazione in generazione, veniva
racchiuso il significato dell’amore e dell’unione familiare. Un gesto che
racconta di una società semplice, votata alla famiglia e alla terra, un gesto
che racconta l’economia, ma anche le tradizioni e le usanze di una cultura
tutta meridionale, un gesto in cui vi è fede e attenzione e autenticità e
femminilità e maternità e amore…

La panificazione avveniva di solito una volta alla settimana e
rappresentava una specie di diversivo per le donne alle faccende domestiche.
Ogni famiglia, a seconda delle possibilità, conservava in casa una certa
quantità di farina, che veniva recapitata direttamente dal fornitore, mentre
chi non aveva questo “privilegio” si riforniva dagli
spacci di generi alimentari. Strumento fondamentale per la panificazione in
casa era una sorta di tagliere in legno, che veniva usato anche per fare
la pasta ovvero le orecchiette e i cavatelli freschi.

Sul tagliere veniva disposta la farina
setacciata attraverso uno strumento che veniva chiamato il
setaccio. In una parte della farina veniva sciolta con acqua tiepida una pasta
inacidita – il lievito madre – tenuta in serbo dalla precedente panificazione.
Il tempo e l’energia di mani calde ed esperte facevano il resto. Formata una
piccola palla, questa veniva incisa con un segno a forma di croce e “benedetta” con
una frase augurale. Avvolta poi in un panno, la pasta veniva lasciata lievitare
fino al giorno seguente al caldo, in un luogo protetto da panni di lana, per
favorire la fermentazione.

L’indomani cominciava la panificazione.
Preparata l’acqua salata e calda, si lavorava con questa la restante farina
setacciata e il lievito preparato il giorno prima. Impastando con la forza di
pugni, la lavorazione si interrompeva solo quando, pressando col pollice sulla
pasta, l’impronta scompariva velocemente. Voleva dire che l’impasto era pronto
per l’appezzatura. Un pezzo di quell’impasto veniva conservato in una
scodellina di terraglia e sarebbe servito come lievito per la volta successiva.

Le forme di pane venivano cotte presso i
fornai e, per distinguere le proprie pagnotte da quelle delle altre famiglie,
ogni massaia metteva segni particolari sulle proprie forme: bastoncini,
cerchietti, crocette, piccoli disegni di pane, lasciati alla fantasia e alla
creatività di ogni mamma. E se capitava, durante la panificazione, che i
bambini chiedessero del pane, ecco allora che la mamma tagliava un po’ di pasta
e la faceva cuocere sotto la cenere calda, ottenendo una specie di piccola
ciambella circolare.

Il grosso della pasta veniva fatto
lievitare a lungo, sistemato in una teglia unta d’olio extravergine di oliva e
“bucata” con le mani. Nei fori ricavati dalle dita premute sulla
massa, poi, venivano inseriti pezzi di pomodoro. Una spruzzata di origano ed
ecco pronta la focaccia, che il capofamiglia avrebbe mangiato di ritorno dal
lavoro.

Per il pane si aveva una sorta di
venerazione: per nessuna ragione doveva essere sciupato. Anche il pane raffermo
veniva riutilizzato nella minestra o latte: la famosa “zuppa di pane”. Un
piatto povero, ma molto nutriente e gustoso, veniva ottenuto con il pane
raffermo bagnato, condito con olio, sale, pomodorini e cipolla

La sacralità del pane era tale che
persino le briciole dovevano essere raccattate, altrimenti – si raccontava– si
era condannati, una volta morti, a tornare sulla terra per raccoglierle. Il
pane era una benedizione di Dio che le mamme di allora producevano con un
rituale quasi sacro. E dopo aver segnato con una croce il pane da far lievitare,
attendevano con trepidazione e attenzione la giusta cottura. L’avvolgevano poi
in teli di lino e deposto nelle cassapanche di legno ermetiche perché
conservasse più a lungo lo stato di freschezza.

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