QUEL PICCOLO MONDO DI IERI : Lo spazzacamino

QUEL PICCOLO MONDO DI IERI : Lo spazzacamino

L’opinione di Don Chino
2018-11-07 18:00:48

“I ricordi che ci riportano nel passato hanno qualcosa
da suggerirci, da insegnarci. Conservano esperienze, desideri raggiunti, ideali
che solo il futuro ha potuto accertare. Nel mio piccolo mondo di ieri, povero
di cose e ricco d’umano, ho conosciuto persone, vissuto fatti che hanno
lasciato in me il desiderio di correre verso il futuro con in mano la fiaccola
accesa.”
Don Chino
Pezzoli

Lo Spazzacamino

 

Per molti di noi la figura dello spazzacamino è un
ricordo lontano. Nella nostra memoria si tratta di una persona non più giovane
che si adattava a un lavoro sporco e umile, accontentandosi di avere da
mangiare e dormire in una stalla. Accanto a questa immagine dello spazzacamino
c’è ne un’altra, quella dei garzoni, ragazzini di undici, dodici anni che con
facilità salivano e scendevano dal buco del camino.

Piero 85
anni ricorda che dagli undici ai tredici anni fece lo spazzacamino. “Salivo
lungo il buco del camino, il padrone mi sollecitava a grattare via la fuliggine
dalle pareti con cura. M’arrampicavo con l’aiuto di una corda fissata al comignolo
uscivo poi sul tetto.
  Il buco era buio,
spesso stretto e incrostato di polvere nera. Con i gomiti e le ginocchia
cercavo di salire mentre lasciavo cadere in basso una nube nera di polvere. Stavo
chiuso in quel buco nero anche un’ora e mezza. Il padrone sotto i gridava di
fare presto”.

“Ho fatto lo spazzacamino dagli undici anni fino ai quattordici, ero tra i
garzoni il più fortunato perché il mio padrone mi dava a mezzogiorno pane
formaggio e un bicchiere vino. La sera mi portava a mangiare la minestra all’osteria
del paese. Dovevo mangiare poco per non ingrassare e così salire più facilmente il
cunicolo del camino. Mi dava da bere alla sera persino la grappa perché
bruciava i grassi. Ero sempre sporco e cercavo di lavarmi alla fontana del
paese, ma il mio padrone mi sgridava nelle orecchie: “Siamo spazzacamini, la
gente ci vuole sporchi”.

“Quando pioveva la caligine penetrava nella pelle e i nostri volti erano neri
come quelli degli africani.
I vestiti sporchi
e inzaccherati
li portavamo addosso tutto il giorno e solo alla sera li
mettevamo ad asciugare sulla scala a pioli del fienile dove dormivamo. Al
mattino, via di buon’ora per le strade del paese gridando: “Spazzacamino,
spazzacamino!”.
  Si aprivano alcune finestre
e le donne chiedevano il costo della prestazione. La risposta era sempre la
stessa: “Quello che può darmi, signora”.

“Quando passavo davanti al forno, il profumo del pane mi dava il capogiro,
se mi fermavo per un attimo solo per guardare le michette uno scappellotto o
una pedata del padrone rompeva l’incanto. Se qualcuno mi allungava una mancia
dopo il lavoro ben fatto, il padrone mi perquisiva e trovava anche la più
piccola moneta. Se mi lamentavo, mi diceva che nelle tasche dei ragazzi non ci
dovevano essere soldi”.

“D’inverno, gli spazzacamini non
lavoravano e tornavano nelle loro famiglie.
 Io con quattro stracci addosso tornavo da miei
genitori e mi sentivo dire: “Una bocca in più da sfamare”. Quanto freddo e fame
in casa. La sera quando mi buttavo sul pagliericcio sognavo spesso di trovarmi
nella cavità del camino incapace di salire e scendere. Un incubo? Forse sì! Mi
svegliavo gridando e tremando”.

La testimonianza di Piero ci ricorda che le condizioni
generali dei ragazzi garzoni dello spazzacamino erano al limite della
sopravvivenza, sporchi affamati e impauriti.
Venivano retribuiti con un po’ di cibo e
qualche indumento vecchio e logoro che le donne impietosite donavano. Molti di
questi ragazzi si ammalavano di broncopolmonite fulminante, morivano tisici.

 La maggior
parte di questi ragazzi erano orfani dei genitori e vivevano per strada e per
sfamarsi erano disponibili ad arrampicarsi nel cunicolo dei camini incrostati di
fuliggine.  
Quanta povertà e miseria!  Piero ricorda: “Mio nonno mi ha tolto da quell’inferno,
mi ha salvato la vita portandomi nel bosco a pascolare le capre.”.

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