QUEL PICCOLO MONDO DI IERI : La famiglia patriarcale

QUEL PICCOLO MONDO DI IERI : La famiglia patriarcale

L’opinione di Don Chino
2018-09-12 17:50:27

“I ricordi che ci riportano nel passato hanno qualcosa
da suggerirci, da insegnarci. Conservano esperienze, desideri raggiunti, ideali
che solo il futuro ha potuto accertare. Nel mio piccolo mondo di ieri, povero
di cose e ricco d’umano, ho conosciuto persone, vissuto fatti che hanno
lasciato in me il desiderio di correre verso il futuro con in mano la fiaccola
accesa.”
Don Chino
Pezzoli

La famiglia patriarcale

 

Riporto
alcuni ricordi della signora Angelina che visse nella famiglia patriarcale nei
primi anni del novecento. La signora ormai con qualche lustro sulle spalle mi
narrava come in questa famiglia mangiavano allo stesso tavolo: nonni, genitori,
figli, nuore e anche zii e zie rimasti celibi e nubili. L’anziano nonno era il
padrone, ogni decisione veniva presa da lui. 
 

 “Nella mia famiglia patriarcale nonno Beppe
era il padre-padrone, il patriarca, comandava tutti. La sua autorità non è mai
stata messa in dubbio da nessuno. Tutti gli ubbidivano: figli, generi, nuore e
nipoti. Lui assicurava lo stretto necessario a tutti i componenti della
famiglia.  Nonno Beppe, oltre a lavorare
la terra del podere, commerciava in bestiame. Nella tarda primavera
s’incamminava a piedi verso il mercato del bestiame con le bestie da vendere.
Ritornava orgoglioso degli scambi o delle vendite. Infatti da questi viaggi
riportava olio e sale, due generi alimentari che la sua terra non poteva
produrre”.

“Nella mia famiglia patriarcale vivevamo in
quattordici persone, tre erano i nuclei famigliari. Il mio, io e mio marito con
due maschi e due femmine; quello di mio cognato e cognata con tre maschi e una
femmina. Il nonno Beppe con la nonna Maria. Il nonno capeggiava su tutti e la
mattina o la sera, intorno al tavolo, discuteva con gli uomini e donne i lavori
da fare: erano ordini precisi, netti, indiscutibili. Se c’erano delle
controversie era lui a placare gli animi. Insomma era il grande saggio e, a
distanza di tempo, mi è rimasta una percezione molto positiva di quest’uomo,
malgrado la sua severità”.

 

“Maria la moglie di Beppe era la padrona che aveva compiti specifici per il buon
andamento della casa. Maria, prima di tutto, era una grande lavoratrice che
vegliava su tutto e controllava i lavori domestici. Si alzava per prima per
preparare la colazione agli uomini e dare da mangiare alle galline e conigli.
Era l’ultima ad andare a dormire dopo aver svolto una dura giornata di lavori. Godeva
della fiducia del marito Beppe che rispettava e ubbidiva. Nessuna possibilità
di evadere dalla sua quotidianità: famiglia, casa, chiesa. Il compenso per la
sua grande fatica era possedere mentalmente e tangibilmente le chiavi della
casa. Se si presentava un mendicante in cortile, solo lei, la padrona aveva la
possibilità di elargire l’elemosina”.

“Nella famiglia patriarcale i figli con le loro spose e figli erano subordinati
al volere del padrone e della padrona. Beppe e Maria decidevano tutto. Io che
ero la nuora dovevo ottenere il permesso da mio suocero e suocera per recarmi a
trovare i miei famigliari. Anche gli acquisti dovevano essere autorizzati. Mi sentivo
spesso dire: “Non ti manca niente qui”. Una vita povera, faticosa, senza
neppure la possibilità di soddisfare i bisogni dei propri figli”. 


“I figli, non erano proprio presi in considerazione, non valevano nulla,
dovevamo solo ubbidire e lavorare. Frequentavano, fino a dieci anni, la scuola
del paese per qualche ora. L’insegnante, di solito, era il prete o la suora che
ci facevano apprendere a leggere e a scrivere a suon di ceffoni e castighi.
Terminata la scuola i maschi andavano nei campi ad aiutare gli adulti mentre le
femmine attendevano ai lavori domestici. Le bambine e ragazze imparavano molto
presto a cucinare, rammendare i vestiti, lavarli e stirarli con il ferro da
stiro riscaldato dalla carbonella”

 

“Allora
mancavamo del necessario, si lavorava tanto. La terra era generosa solo se gli
dedicavamo tutte le nostre energie. C’era sempre qualcosa da fare: falciare
l’erba, mietere il grano, battere la canapa, rastrellare il fieno, raccogliere
la legna mungere, fare il pane per l’intera settimana, travasare il vino,
insaccare le salcicce, filare la lana. Tutto e di più. Quanta fatica! Eppure
eravamo sereni, quel poco che avevamo ci bastava”.

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