“Periferie”, la tolleranza del male

“Periferie”, la tolleranza del male

L’opinione di Don Chino
2014-04-04 16:44:21

Le storie di chi non ha voce è difficile raccontarle, cercarle dietro le immagini, gli sfondi che nessuno ama vedere e mostrare. Il male ormai è normalità e la cronaca lo documenta solamente senza far riflettere. Meglio, si pensa, sorvolare il male, non vederlo…
Le nostre città


Gli scenari ricorrenti riguardano le periferie cittadine, i casermoni popolari,
luoghi in cui i mezzi di informazione  non sono abituati a dare spazio, salvo, quando
accade un fattaccio. Solo allora  si
sbattono i mostri in prima pagina, con espressioni  comuni, senza indagare nelle pieghe
dell’emarginazione e del disagio. Le brutte storie accadono dovunque, lo
sappiamo.  Ma nelle periferie delle
grandi città  gli scenari sono
particolari. Qui c’è pure una forma particolare di criminalità: la criminalità
organizzata e la complicità e omertà di molti. L’affare  della droga garantisce introiti miliardari al
mercato dell’illegalità, così pure l’assicurarsi gli appalti pubblici, l’usura,
il riciclaggio del denaro.  Il quadro del
male si completa, se si aggiunge che  nelle
periferie s’affollano gli stranieri senza volto che provengono da tutto il
mondo, spesso senza un posto per dormire, un pezzo di pane per nutrirsi e con
pochi vestiti addosso. 

Quale futuro per le periferie

Povertà, marginalità e frammentazione urbana
non sono più confinate alle realtà del sottosviluppo, ma, a causa della crisi,
si affermano anche nelle città sviluppate del nord, delineando una serie d’importanti
interrogativi sulla tenuta sociale delle città. Il presente in cui vivono molti
abitanti delle periferie cittadine rischia di prospettare un futuro peggiore in
cui il male passa inosservato, anzi lo si ritiene necessario per sopravvivere.
Si pensi alla disoccupazione e a tutti i tentativi messi in atto per
assicurarsi il necessario. Si sa chi i poveri e disperati che mancano persino
di bibo, possono rimanere impigliati nella rete della delinquenza. Sembrano
pertanto poco efficaci le proposte politiche
del promuovere occupazione, specie per i giovani, se mancano sempre più le
aziende, se lo sviluppo economico si riduce a promesse. Ne consegue che
l’emarginazione sociale è in aumento e così pure le forme di vita trasgressive. 
Un’attenzione alle periferie
già presente


Non è stato certamente papa
Francesco a “scoprire” le periferie del mondo e nemmeno quelle
dell’anima. Per grazia le periferie e, soprattutto quanti vi abitano, sono
state sempre presenti all’attenzione di tanta parte del popolo di Dio. Non può
essere che così se i cristiani trovano nel Vangelo la luce e la direzione verso
la quale orientare lo sguardo e attivare l’impegno per interpretare e
trasformare il mondo.  Mi sembra di
poter dire che il “nuovo” di papa Francesco non sta nel tener
frequentemente presente nei suoi appelli le periferie e i poveri che vi
abitano. Già più di trenta anni fa i nostri vescovi, o meglio i vescovi di
allora, affermavano: «Bisogna, inoltre, esaminare seriamente le situazioni
degli emarginati, che il nostro sistema di vita ignora e perfino coltiva: dagli
anziani agli handicappati, dai tossicodipendenti ai dimessi dalle carceri o
dagli ospedali psichiatrici. Interrogandosi poi: Perché cresce ancora la folla
di “nuovi poveri”? Perché a una emarginazione clamorosa risponde così
poco la società attuale?».
Interrogativi seri che, purtroppo, nei decenni
successivi hanno attivato, dentro la chiesa, scarsa ricerca per rispondervi. 

Il nuovo invito

Il nuovo di papa Francesco
non sta nell’indicare o nell’invito ad esaminare le varie periferie del mondo e
dell’esistenza, quanto piuttosto nel contenuto dei verbi che sempre precedono
il suo dire circa le periferie e i poveri. In una brevissima e certamente
incompleta ricerca li ho individuati così: “uscire ogni giorno e sempre più…,
ci spinge ad uscire verso l’incontro…”; “andare a fondo nel cammino…,
uscire da sé per andare incontro all’altro…”.  Poi, proprio in questi ultimi giorni: “dobbiamo uscire, cercare con Lui
la pecorella smarrita, quella più lontana”. Ricordate bene: “uscire da noi,
come Gesù, come Dio è uscito da se stesso in Gesù e Gesù è uscito da se stesso
per noi”. Questo “uscire”, “andare”, “incontrare l’altro, è un invito
evangelico a lasciare le novantanove pecore al sicuro per cercare, avvicinare
la pecora smarrita. I sacerdoti, i credenti, le persone di buona volontà sono
sollecitati sono chiamati a compiere la missione del bene. Il bene vince il
male.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  

LA SOLITUDINE DELLE
PERIFERIE

  

Se Giovanni Paolo II
chiedeva, più che legittimamente, alla chiesa di essere sempre più casa di
comunione per tutti nessuno escluso, per vincere la solitudine, papa Francesco
ci chiede di andare, uscire, cercare quanti abitano nelle infinite periferie
del mondo e dell’anima per fare comunione con 
chi è solo.
 
Quante volte ci siamo
sentiti dire che la chiesa o è missionaria o non è chiesa. Papa Francesco
ribadisce questa verità, precisando, evidentemente con il supporto del Vangelo,
che la missione è orientarsi prevalentemente verso le periferie dell’uomo.
«È necessario uscire da se stessi – ha detto il
Papa – e da un modo di vivere la fede stanco e abitudinario, dalla tentazione
di chiudersi nei propri schemi che finiscono per chiudere l’orizzonte
dell’azione creativa di Dio». Bellissimo l’invito di papa Francesco a uscire da
se stessi e mettersi in viaggio verso l’altro per avere un incontro una
comunicazione che spacchi il “silenzio umano” che attanaglia la mente e
inaridisce il cuore. La solitudine è ovunque, anche se nelle periferie delle
nostre grandi città diventa pensante, insopportabile. Mi vengono in mente i
versi del poeta Quasimodo. “Ognuno sta solo sul cuore della terra, trafitto da
un raggio di sole ed è subito sera”. Sì, la “sera” il buio dell’isolamento. 
Quanta solitudine!

 

La solitudine si avverte quando si entra nei
caseggiati  delle nostre periferie  dove ogni persona sembra dover difendersi
dagli altri, spesso sconosciuti, anche se vivono sullo stesso pianerottolo o
nella porta accanto. Non di meno si coglie l’isolamento quanto si cammina lungo
le strade: ognuno è solo, va verso il mezzo di trasporto, il supermercato,
senza un cenno di saluto. Nelle
nostre periferie  le persone  sono sempre più sole. I giovani con i loro
schiamazzi notturni forse vogliono socializzare o meglio massificare, gli
adulti parlano con il cane al guinzaglio mentre transitano lungo i marciapiedi,
gli anziani scostano le tende delle finestre per seguire con lo sguardo triste
il traffico stradale. Solo i bambini giocano ai giardinetti insieme e lasciano
che le loro voci e sorrisi si espandano come note di gioia. L’estendersi della periferia pone una domanda:
è possibile un recupero della dimensione umana e di modalità di vita associata
più civili e giuste?

Il messaggio sorprendente

Il  messaggio sempre sorprendente della chiesa.
radicato nella novità evangelica, sta nella forza dell’amore. Benedetto XVI con
l’enciclica “Deus caritas est”  mette la
chiesa in movimento per vivere la carità, tirandola fuori dagli angusti spazi
in cui spesso è  relegata la sua azione
di bene. Certamente dobbiamo essere grati per quanto si vive nella chiesa da
parte di molti testimoni della carità che con disponibilità e generosità,
spesso nascosta, rispondono positivamente alle richieste di tanti poveri soli
che chiedono una presenza fraterna, un aiuto nella sofferenza. C’è pero
qualcosa di “istituzionale” che frena i credenti e le persone sensibili a uscire
per andare otre il recinto parrocchiale, andare verso chi vive nei caseggiati
delle periferie, dove la persona non conta e il messaggio evangelico dell’amore
non arriva.

 

Occorre andare oltre 

Papa Francesco ci chiede di
andar oltre, di non essere soltanto chiesa impegnata a rispondere alle domande
di chi è con noi, ma di essere chiesa pellegrina che va incontro alle persone
dimenticate, agli ultimi che vivono soli 
ai margini della nostra società.  Andare verso, come li chiamava Madre Teresa di
Calcutta, “i più poveri dei poveri”. È bello ascoltare le parole di papa
Francesco che  propone la dinamica del
cammino verso l’altro. Il papa sogna una chiesa leggera, in movimento, meno
chiacchierona; una chiesa consapevole che Dio già vive nelle nostre città e ci
costringe  a uscire e andargli incontro
per scoprirlo, per costruire relazioni di vicinanza, per rendere possibile la
sua presenza attraverso l’annuncio e  il
fermento della sua Parola.

E’ qui la speranza

Nonostante il quadro inquietante che emerge
dall’analisi delle grandi trasformazioni planetarie e dal loro impatto sulle
singole città e periferie, è necessario un invito a pensare diversamente la periferia. Infatti, al di là delle miserie del presente rimangono aperti
spazi di speranza.

 

 

 

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