La Pasqua dei nonni

La Pasqua dei nonni

La Pasqua si festeggiava in famiglia. Si partecipava ai riti religiosi. Il giovedì santo si andava in chiesa per assistere al rito della lavanda dei piedi e per ascoltare la messa. Si assisteva poi al rito dell’ultima cena, il sacerdote rappresenta Gesù che consacra il pane e il vino che diventano il sangue e il corpo di Gesù.

Il venerdì si partecipava alla via Crucis, una processione che ricorda i momenti della passione di Gesù, poi si andava nelle chiese a visitare i sepolcri. Il sabato santo si partecipava oppure si assisteva alla processione, alle dieci tutte le chiese, dopo aver acceso sul sagrato della chiesa un falò, suonavano le campane a distesa per annunciare la resurrezione di Gesù e la gente ovunque si trovasse si prostrava baciando la terra.

Dopo questo momento tutti i bambini gioivano perché finalmente potevano mangiare i dolci che i giorni precedenti le mamme avevano preparato nelle case. I bambini andavano in giro per le case del rione con un cestino chiedendo le uova agitando nelle mani rumorosi campanacci. Nelle case preparavano un tavolo con le tovaglie ricamate e al centro mettevano le uova benedette da bere alla mattina di Pasqua come uova alla coque, cioè essere state lavate e immerse nell’acqua già bollente per la precisione 3 minuti.

Si partecipava alla processione del venerdì santo o alla rappresentazione della passione di Cristo. Alcuni adulti interpretavano: Gesù che portava la croce, la Madonna ai piedi della croce, i soldati che percuotevano il condannato, le “pie donne” che piangevano, la Veronica che asciugava il volto di Gesù. I personaggi vestivano semplici vesti bianche e sfilavano per il paese tra due ali di folla.  

Il sabato santo già al mattino si attendeva che le campane annunciassero la resurrezione di Gesù. In Chiesa si celebrava verso le nove, dieci del mattino il rito della resurrezione. La in casa, per le strade o nei campi e boschi si bagnavano il capo con l’acqua come segno di liberazione e di vita nuova.  Era veramente un sabato santo, un sabato di gioia. Le strade si popolavano e le persone grandi e piccole esprimevano la loro fede nella vita eterna. Un annuncio, speranza. Che bello!

La domenica di Pasqua l’atmosfera gioiosa del giorno precedente continuava. Le mamme e le nonne erano indaffarate per preparare il pranzo pasquale. Di solito cucinavano le tagliatelle prodotte in casa, il gallo o gallina ripieni ingrassati nei mesi precedenti per questo giorno; mettevano nel forno della cucina a legna la torta. Tutto doveva essere pronto al ritorno dalla santa Messa solenne dove la famiglia partecipava al completo.

Si indossava il vestito più bello e piccoli e adulti sfilavano per le vie del paese palesando per un giorno quella modesta eleganza che apparteneva alla povera gente.

Al ritorno alle proprie case, le mamme e le nonne mettevano in tavola i piatti e le posate con il pane fresco che emanava un profumo soave. I piccoli riservavano attenzione alla torta che cuoceva lentamente nel forno, mentre gli adulti fissavano attentamente le pietanze che in quel giorno avrebbero gustato. Il pranzo pasquale tanto desiderato in quei tempi di rinunce e di fame era veramente un modo per rinnovare il gusto e l’olfatto.

Non mancava in tavola il fiasco del vino che gli adulti versavano con parsimonia nel bicchiere. Abituati a bere acqua, quel mosto sembrava loro manna caduta dal cielo.

Al termine di questa mangiata qualcuno intonava una canzone e il coro dei partecipanti rallegrava la casa. Gli apprezzamenti e gli elogi alle casalinghe per quanto avevano messo in tavola venivano espressi dall’oratore di torno che per la circostanza metteva in mostra la sua modesta cultura.

Al termine della giornata, cena con il brodo di gallina e ravioli e qualche fetta di polenta avanzata dal pranzo di mezzogiorno. Si concludeva la giornata con la tombolata con qualche premio in palio: caramelle, biscotti, frutta. Ci si coricava presto perché al mattino alle sette uomini e donne erano in cammino per recarsi sul posto di lavoro.

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