Il bambino “padrone”

Il bambino “padrone”

Accade spesso, che i ruoli si invertano e siano i bambini ad assumere il controllo di figure
parentali sempre più incapaci di stabilire regole e di punire trasgressioni. La sindrome del
“bambino imperatore” è un disturbo del comportamento che induce il piccolo a sfidare i
genitori e, se non incontra opposizione, a muovere guerra al resto del mondo, con armi
che si risolveranno in un boomerang. Un bimbo cui sono concessi privilegi smisurati,
costruisce un rapporto esclusivo ed esigente con i genitori; il nucleo famigliare ruota
attorno ai suoi desideri, o meglio, agli ordini del piccolo despota. Un bambino “padrone” si
serve dalla capacità di asservire gli adulti con tattiche sofisticate di manipolazione emotiva,
per ottenere qualsiasi beneficio. Comanda gli adulti rendendoli succubi di lui.


Quando la famiglia si sgretola

Il bambino “padrone” emerge nel momento in cui la famiglia si sgretola. In una storia di
intenso conflitto coniugale, il figlio “padrone” diventa lo strumento usato dai genitori nei
diversi ruoli di collante, mediatore, controllore, persino giudice, finché non sia indotto a
coalizzarsi con un genitore contro l’altro. Un figlio che per anni, per evitare la catastrofe
familiare, ha cercato di compiacere i genitori pur dubitando del loro amore nei suoi
confronti, o, in caso di abbandono da parte dell’uno, viene investito dall’altro del ruolo
rimasto vacante, o, ancora, quando è chiamato a dare ragione o torto a uno dei due,
spesso diventa aggressivo verso i genitori, colpevoli di averlo “usato”. Pure questa
aggressività lo rende padrone di entrambi i genitori.

Il bambino che prende il sopravvento

Venuto meno la famiglia, il bambino “padrone” prende il sopravvento, e afferma il suo
ruolo dominante. IL bambino diviene il padrone della situazione domestica e si trasforma
in tiranno che offende, ricatta, manipola quasi sempre le mamma rimasta sola con lui. Il
papà è ormai distante che, quando interviene, lo fa talvolta in modo sbagliato, rispondendo
alla violenza del piccolo con la violenza, innescando così un processo senza soluzione. Il
bambino-padrone, senza nessuno che lo protegga e corregga la sua aggressività che ha
origine da un malessere profondo, esercita il suo potere facendo ciò che vuole,
fregandosene di tutti. Nel corso della vita, però, non avrà sempre i genitori come
controparte: l’egoismo, l’intolleranza della frustrazione e la scarsa attitudine alla socialità
saranno il preludio all’emarginazione.

I segnali del bambino indisponente

Ci sono segnali predittivi da correggere in questi bambini “padroni”? I primi segnali si
manifestano molto presto e sarebbe possibile un corretto intervento educativo. Come
regola generale, a quattro anni un bambino può già verbalizzare la sua rabbia,
prepotenza, insubordinazione ai genitori che dovrebbero immediatamente controllarla. Se
non lo fanno e sottovalutano il problema, rischiano che il bambino degeneri in
comportamenti aggressivi nell’età adulta. In alcuni casi non emergono solo problemi
educativi, ma disturbi psichiatrici. Questi casi sono presenti di frequente nelle famiglie
iper-comprensive e dipendenti dalle aggressività del bambino.
Chiedere aiuto, se ci fosse bisogno
Il bambino-padrone, con l’aria di sfida che cela fobie e fragilità, al quale in casa non strappi
un sorriso, che critica con ferocia, che dopo due parole trascende nell’urlo, fa paura e
pena. Naturalmente bisogna distinguere, e farsi aiutare se non si possiedono gli strumenti

per farlo, tra autentiche patologie e situazioni determinate solo da una cattiva educazione.
Dato che di solito la tirannia infantile si esercita nella sfera familiare, chi sta al di fuori non
si accorge di nulla. Il paradosso è “aiutare a chiedere aiuto”, è il principale obiettivo
ridando autostima e fiducia ai genitori.

Si tende a proteggere il minore

Si parla poco della escalation di violenza da parte dei minori in seno alla famiglia ed è
facile capire perché. I genitori vogliono evitare ai figli di avere precocemente a che fare
con la giustizia e nascondono gli episodi violenti, a meno che non sfocino in tragedie non
occultabili. Si tende a proteggere il minorenne perché il peso delle sue azioni non lo
danneggi in futuro, per non farlo apparire “sbagliato” e, infine, per sottrarsi al giudizio della
collettività, in forza del vecchio adagio che i panni sporchi vanno lavati in famiglia. Ci si
preclude così la possibilità di aiuto dall’esterno, la solidarietà di chi condivide il problema o,
comunque, lo comprende, e lo specifico sostegno degli specialisti.

Il silenzio che non paga

I genitori sono soliti pensare che certi atteggiamenti del bambino si risolveranno con la
crescita. I vissuti del bambino sono taciuti, incapsulati per non ledere la sua immagine.
E poi, ci sono i sensi di colpa dei genitori da tenere nascosti. Rompere il silenzio, grazie
alla forza esplicativa di ogni racconto, può essere l’inizio di una nuova storia, nella quale il
narratore si libera e diventa partecipe di soluzioni. L’atteggiamento di tener nascosti i
disordini famigliari, specie quando il bambino è coinvolti, rappresenta una responsabilità
grave che ha conseguenze terribili sul futuro dei bambini.

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