I nostri figli, come canne al vento?

I nostri figli, come canne al vento?

Pensaci Su…
2014-04-12 12:06:54

Incontro spesso giovani e ragazzi sempre più fragili, perdenti di fronte alle difficoltà, scontenti e pieni di rabbia
Incontro
spesso giovani e ragazzi sempre più fragili, perdenti di fronte alle
difficoltà, scontenti e pieni di rabbia. Il lavoro non è secondo le loro
aspettative, gli amici non vanno mai bene, i genitori sono considerati
impreparati a capirli, la compagna o il compagno richiede una selezione
continua. Capita sovente che molti figli usciti dalla casa dei genitori, vi
rientrino perché non reggono l’autonomia, specie quella economica. Faticano a
rompere l’attaccamento ai genitori, a vivere indipendenti con l’impegno di
costruirsi una nuova famiglia. Ne consegue che la vita con i genitori può
essere motivo di sofferenza, sia perché i genitori non comprendano il malessere
interiore dei figli, sia perché i figli vivono come disagio la mancata libertà
o autonomia. Purtroppo il problema è stato commentato da diversi opinionisti,
sociologi e psicologi in modo riduttivo, come se si trattasse solo dell’effetto
di una congiuntura economica sfavorevole. Penso invece che si debba porre
l’attenzione sulla debolezza interiore di questi ragazzi, bollati come
bambocci. Forse, non si vuole conoscere a fondo il problema “culturale” che fa
essere i nostri figli come canne al vento.                                                                                                     

Il
culto dell’immagine 
La
presenza nel pianeta giovanile c’è un’eccessiva aspirazione a raggiungere, a
tutti i costi, il culto dell’immagine. Per voler essere ad ogni costo “visibili”,
i ragazzi hanno abbandonato le indicazioni e valori di tutta la tradizione
umana e religiosa. La corsa alle apparenze, coltiva grandi aspirazioni, ma
nello stesso tempo espone al pericolo di cedimenti psicologici. Il nuovo ideale
della visibilità o narcisismo, presente anche in chi adolescente non è più, è
motivo di vulnerabilità e mancanza d’identità. Ciò spiega nei ragazzi
l’eccesivo bisogno d’appartenere a un gruppo, (sportivo, scolastico,
contestativo, trasgressivo) d’identificarsi in esso, quasi che la personalità o
identità dello stesso, supplisca all’inesistente identità. Il culto della
propria immagine pertanto espone il soggetto alla massificazione o comunque
alla dipendenza a “qualcosa” o “qualcuno” per ottenere un riconoscimento 
La
fame di riconoscimenti

 
Il bisogno di riconoscimento è sempre
esistito, ma ora diventa importante e, nello stesso tempo, più incerto che mai.
La caccia ai riconoscimenti, palesa l’inconsistenza interiore. Oggi, purtroppo,
il riconoscimento espresso ai ragazzi è immediato fatto di approvazioni, di
plausi che durano una serata. Il ragazzo vale per quello che fa e non per
quello che è. Ne consegue che quanto più un ragazzo aspira ad essere
“meraviglioso”, tanto più è dipende dagli altri.  La sua identità, il bene più prezioso, è
esposto costantemente al rischio del fallimento, perché l’approvazione degli
altri spesso gli viene negata. Si trova quindi a dover accentuare lo sballo per
rimediare alla mancanza di valorizzazione. I grandi ideali che hanno accompagnato
la crescita di molte generazioni sono venuti meno, lasciando nei ragazzi vuoti
incolmabili. Penso al tramonto persino dei grandi racconti dove emergeva: la
generosità, la scienza, il progresso, il lavoro, l’azienda, il prestigio
sociale, l’impegno politico, la famiglia, la fede.

Un
suggerimento

Necessita
che i nostri ragazzi rientrino in se stessi, colgano i tratti veri della
personalità, apprezzino le risorse, imparino soffermarsi su ciò che fanno ogni
giorno per avere una specie d’inventario della loro piccola storia che non
scorre per caso. Ciò potrebbe servire a ridimensionare le esteriorità, il culto
delle apparenze e quel irrefrenabile bisogno di avere tutto e subito. Al
tramonto delle grandi ideologie, salviamo nella testa dei nostri figli almeno il
valore della vita interiore, dell’amore, della solidarietà, dell’ambiente,
dell’impegno sociale, della coscienza retta, ma soprattutto il desiderio di
Dio, la voglia di cercarlo come speranza
e fortezza che non delude.  

Sono significative le parole rivolte a Dio dal
poeta Tagore:                                                                                                                              
“Questo fragile vaso continuamente tu
vuoti continuamente riempi
di una vita sempre nuova”.

 

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