Falsi miti dell’adolescente

Falsi miti dell’adolescente

Leggo su un settimanale: “Un ragazzo di sedici anni ha preso la macchina di papà per
andare in giro: senza patente, ovvio. “Una ragazza di quindici anni non ha dormito dalla
sua migliore amica, come aveva detto, ma dal suo fidanzato”. “l rendimento scolastico
degli adolescenti cala vertiginosamente, mentre aumentano rispostacce e liti in famiglia”.
Mi chiedo: “Che cosa succede? I figli-bambini sono diventati adolescenti: in altre parole, in
molti casi, alieni, travolgenti, ingestibili?”. Occorre forse scattare alcuni miti
sull’adolescenza. Lo psichiatra Daniel Siegel, sostiene che bisogna sfatare tre falsi miti. Il
primo: “Non è vero che se i ragazzi si comportano in modo “folle” ed è esclusivamente e
direttamente colpa degli ormoni”. Secondo: “Non è vero che l’adolescenza è un periodo di
immaturità, quindi bisogna solo aspettare che passi”. Terzo: “Non è vero che gli
adolescenti devono passare dalla dipendenza dagli adulti a una totale indipendenza”.
 
Il primo mito
Lo psichiatra Siegel sostiene che certamente nell’adolescenza vi è un aumento dei livelli di
alcuni ormoni: gli organi sessuali si sviluppano, ai ragazzi cresce la barba mentre alle
ragazze compare il seno, e prendono forma sentimenti legati alla sessualità molto intensi.
Ma a determinare ciò che chiamiamo adolescenza, ossia l’età compresa all’incirca fra i 12
e 17 anni, è soprattutto (come ho già accennato) il cervello: i processi cerebrali che
governano il controllo cognitivo del comportamento, in questi anni non sono infatti ancora
maturi, ma in via di trasformazione. Gli adolescenti non sono, quindi, manipolatori,
irresponsabili che vogliono renderci la vita impossibile. Più semplicemente, non sono in
grado di comportarsi diversamente perché sono alle prese con trasformazioni
neurobiologiche inevitabili. In una parola, ragionano con le emozioni. Il che può sembrare
bellissimo, ma è anche pericoloso: è come guidare un’auto con il motore alla massima
potenza.
 
Il secondo e terzo mito
Lo psichiatra Siegel sostiene che ai genitori degli adolescenti occorra dire che, “in attesa
che le acque della tempesta adolescenziale si calmino, devono salire su un’altra barca,
mettersi la cerata e attaccarsi con un cavo di sicurezza alla base di un albero: non
aspettare che passi e basta, ma navigare a fianco dei ragazzi, magari stando dietro di loro
per guidarli e farli arrivare a destinazione senza troppe ferite”. Quest’età “sconsiderata”,
dunque, è anche una straordinaria opportunità per aiutarli i ragazzi e ragazze a crescere,
ed è per questo che è fondamentale la presenza degli adulti. Anche perché, e questo è
parte del terzo mito da sfatare, l’obiettivo degli adolescenti non è affatto liberarsi dai
genitori, ma solo provocarli. In realtà, desiderano di non essere mai abbandonati. La
stessa lettera di Angelo lo afferma.


Le diverse paure
Come ho già detto e analizzato, i ragazzi sono in balia della propria sfera emotiva e non
riescono a gestirla, specialmente le paure per cui esprimono con il corpo e l’azione ciò che
non riescono a comunicare con le parole: alcuni scaricano questa tensione emotiva
all’esterno, con ribellioni verbali e fisiche spesso violente e incontrollabili, altri la riversano

su sé stessi con il silenzio, la chiusura e l’isolamento. Anche i genitori, che vorrebbero
aiutarli, sono spaventati. Provano lo stesso smarrimento, la stessa sensazione di
incapacità e fallimento dei loro figli, perché non riescono a capirli e a comunicare con loro.
 
Cosa fare dunque?
La parola chiave è immedesimazione. Per capire cosa passa loro per la testa, i genitori
dovrebbero in primo luogo ricordarsi come è stata la loro adolescenza; in secondo luogo,
sforzarsi di mettersi il più possibile nei loro panni. Può funzionare anche il contrario. Ad
esempio, chiedere al figlio che vuole tornare a casa alle tre del mattino di mettersi nei loro
panni. Lo accetterebbe? Probabilmente no, ma quando sarà solo, ci rifletterà. Può inoltre
aiutare i genitori in difficoltà il confronto con altri genitori che si trovano in situazioni simili.
Serve anche accettare le critiche dei figli, i musi lunghi, gli sfoghi. E poi è utile condividere
le loro passioni, come la musica ascoltata a volume troppo alto o i film che guardano come
se fosse una terapia al loro male di vivere. Un “volo” difficile è quello adolescenziale con
molti imprevisti, ma necessario per crescere.

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