EducataMente Domande e risposte sull’educazione

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Una finestra sul mondo
2014-02-22 17:00:59

Quello che non sai del tuo bambino
Educare deriva dal verbo latino ducere, che vuol dire condurre, guidare. Nella fattispecie, la corretta traduzione di educare sarebbe “condurre fuori”.
Educare deriva dal verbo latino ducere, che vuol dire
condurre, guidare. Nella fattispecie, la corretta traduzione di educare sarebbe
“condurre fuori”.

E ci sembra molto bella, come definizione, quella che parla
di qualcuno da guidare, da accompagnare fuori dall’infanzia e verso la vita
adulta. Educare non è facile. S’è scritto moltissimo sull’argomento, ma le
informazioni sono ancora insufficienti e, soprattutto, note a pochi. La
maggioranza dei genitori annaspa, procede per tentativi, spesso destinati alla
disillusione. Per questo abbiamo deciso di dedicare alcune pagine fisse a
questo bellissimo quanto complesso compito di ogni adulto.

Poco o niente: ecco ciò che i genitori sanno, probabilmente,
dei loro figli. La maternità e la paternità non sono precedute da una
preparazione che tenga presente il mondo dei piccoli, questo stupendo pianeta
indescrivibile dai tratti inediti e meravigliosi. Un bimbo che nasce e cresce
accanto agli adulti ha in sé il tocco di tutto l’universo e la bellezza
incantevole d’ogni creatura. Nelle famiglie di ieri, il bambino era considerato
per i poveri una bocca in più da sfamare, per i ricchi un erede dei beni e dei
titoli onorifici. I piccoli che morivano nel primo anno di vita erano molti, ma
quei lutti ricorrenti non erano considerati una gran perdita: l’anno seguente
già arrivava il sostituto. I genitori faticavano a ricordare anche giorno e
anno della loro nascita, tanto era grande la preoccupazione di riempire loro lo
stomaco e vestirli. In questi ultimi trent’anni si è verificato un forte
cambiamento: i bambini sono considerati persone cui dedicare tempo, attenzione,
rispetto. Può sembrare un atteggiamento dovuto: niente affatto. Solo
ultimamente il bambino è oggetto di cure e affetto da parte degli adulti. Credo
che questo cambiamento di mentalità si debba a una nuova sensibilità promossa e
sostenuta da scrittori, film, ma soprattutto da un modo di vivere l’ambiente
familiare più umano. Ronald Laing rileva che “ogni bimbo è un essere nuovo, un
profeta potenziale, un nuovo principe dello spirito, una nuova favilla di luce
caduta nelle tenebre esteriori”. È verissimo: ogni bimbo porta in sé quel tocco
divino che attira e modifica i nostri sentimenti, dà profumo all’anima e
ringiovanisce il cuore. Spesso siamo incapaci di leggere il potenziale presente
in questa piccola vita. Portiamo in noi la paura che quel piccolo essere
proiettato verso il futuro si disperda in mille attrattive e passioni devianti
dalla meta, dalla maturità e felicità. Siamo incapaci di cogliere il linguaggio
del bambino, tanto intimo e diverso dal nostro.

Ecco, le sensazioni che un bimbo ci comunica: è importante
conoscerle. Le puoi tratteggiare?Il bambino può trasmetterci tante cose, basta che ci
mettiamo in ascolto e sviluppiamo un rapporto affettivo intenso. La sua
crescita impetuosa e stupefacente è sempre un messaggio inedito, che va
percepito se vogliamo rompere la monotonia e festeggiare la vita. Per capire le
meraviglie di questi piccoli e aiutarli a crescere è necessario uscire dal
nostro mondo adulto costituito di raziocinio, di scambi economici, di possesso,
di potere e indebite appropriazioni. Occorre essere qualcuno, non avere qualche
cosa; conservare la passione per i sentimenti, andare alla ricerca di tutto ciò
che sgorga dal profondo dell’anima. Anche l’attenzione al nostro mondo adulto,
in un bambino di quattro, cinque anni, è amplissima. Si notano in lui
conoscenze inaspettate, acquisite da più parti e tratte dalle innumerevoli
fonti con cui viene a contatto e dal suo potere percettivo grande,
incontenibile. Fonti rappresentate dai tanti adulti e coetanei che incontra ai
giardini mentre gioca, alla scuola materna, nei negozi, al ristorante… Sono
informazioni captate ovunque da una mente libera e aperta a ricevere messaggi
dalla televisione, dai Dvd, dalle parole, anche dalle vecchie storie, persino
dalle vilipese fiabe. L’errore che gli adulti commettono è quello di pensare
che un bambino di quattro o cinque anni dica solo banalità o stupidaggini.
Quando un adulto e un bambino vivono insieme non esistono l’adulto
intelligente, equilibrato e assennato e il bambino sprovveduto e incapace di
capire. Ci sono due persone che, indipendentemente dall’età, possono capirsi,
comunicarsi cose importanti. Il bambino è una persona a tutti gli effetti: non si
corra il rischio di considerarlo inferiore all’adulto o sottoporlo ad angherie
e prepotenze.

Si può conoscere questo stupendo mondo dei piccoli per
accoglierlo e amarlo?

È difficile conoscere il pianeta infantile: anche dopo
parecchi incontri, indagini, osservazioni scientifiche. Molte pagine sono state
scritte e le ricerche approfondite non sono mancate in questi ultimi decenni.
Eppure resta ancora parecchia strada da percorrere per saperne di più. Una cosa
è certa: l’adulto rimane affascinato quando si trova di fronte a quest’opera
meravigliosa, ineffabile. Un bambino genera sempre emozioni nuove e sentimenti
di tenerezza, di contemplazione.

Osservo a lungo i bambini che s’incontrano nei luoghi più
disparati e che giocano, litigano, fanno la pace per poi azzuffarsi ancora.
Quelle immagini sanno di freschezza, di primavera. Contemplarli è possibile,
conoscerli no. Uno è diverso dall’altro nello sguardo, nei movimenti, negli
abbracci, nei capricci. Noi invece siamo pronti ad assimilarli nella fisionomia
e carattere al loro padre, alla madre, persino ai nonni. Per noi il bambino
assomiglia a tutti, meno che a se stesso. L’adulto incomincia molto presto a
livellare l’identità dei piccoli e i loro comportamenti attraverso confronti e
accostamenti di convenienza. Dire che un bambino assomiglia tutto al padre, al
fratello, o persino a uno zio materno, può far piacere a qualcuno, ma non
avvantaggia per niente l’interessato.

 Qualcuno ha detto che il bambino racchiude intenzioni,
desideri, emozioni, pensieri e ricordi difficilmente raggiungibili. Che ne
pensi?

Il bambino nasconde nel suo mondo interiore diverse
potenzialità che solo attraverso il tempo renderà palesi. All’adulto compete
entrare nel paesaggio infantile ponendosi alla pari con lui, mettendosi in sintonia
con il suo linguaggio, i gesti, gli interessi. Lui così piccolo ha tanto da
offrirci, noi grandi non dobbiamo però provocarlo, ma rendere possibile la sua
intima rivelazione. Il dialogo inizia con gli sguardi densi di comunicazione,
prosegue con i sorrisi, gli abbracci e le carezze. Il corpo del piccolo
partecipa al contatto umano con i movimenti delle gambe, delle braccia e delle
mani. Gorgoglia alcuni suoni spezzettati che attirano l’adulto e lo fanno
gioire. Dopo questi primi messaggi, nasce un meraviglioso dialogo, che con il
tempo assumerà forme espressive sempre più complete. Tra un messaggio e
l’altro, le pause rafforzano la tenerezza del dialogo e invitano l’adulto a
continuare la comunicazione. C’è chi parla di comunicazione magica, unica e completa,
quasi che il bambino ne sia in possesso fin dal primo giorno di vita. Si tratta
soltanto di un’ipotesi, certo. È sicuro invece che un atteggiamento di
condivisione e “devozione” verso il bambino pone l’adulto a contatto con un
linguaggio particolare che precede le stesse parole. Il bambino quindi merita
tanta attenzione, tanto ascolto, perché non è possibile definirlo, catalogarlo
sotto rigidi parametri scientifici o sperimentali.

Come ascoltare il bambino e valorizzare il suo stile di
comunicazione, le espressioni, i gesti sempre imprevedibili e nuovi?

Prima di tutto, per ascoltare un bambino occorre tanto
tempo. Le sue espressioni, pur ripetitive, hanno sempre in sé qualcosa di nuovo
e interessante. Egli verbalizza tutto ciò che vede e gli accade durante la
giornata, sovrapponendo gli avvenimenti senza un ordine logico o cronologico.
Tutto ciò che racconta fa parte del presente, e le immagini che maggiormente
l’hanno tenuto impegnato trovano nell’esposizione maggiore rilievo.

Ecco che cosa racconta Daniele, un bambino di cinque
anni: “Io sono Daniele, i miei compagni mi chiamano Dany, mi piace di più.
Abito nella mia casa, vicina a quella di Marco, lui ha una sorella di nome
Sofia, che piange sempre quando viene alla scuola materna. Nella mia casa, un
piano sotto, abitano i miei nonni vecchi, e mia nonna è anche ammalata. Mio
padre fa il geometra, misura tutte le case e poi le vende. Io, quando sarò
grande, voglio fare il muratore per andare a lavorare con il mio papà”. In
queste affermazioni sono presenti diversi aspetti della vita familiare che
Daniele ha colto ed espresso molto bene. L’ascolto attento e costante dei
bambini ci fa capire come questi piccoli artisti sono capaci di descrivere con
poche parole alcuni particolari della loro vita familiare e immaginare i

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