QUEL PICCOLO MONDO DI IERI I tanti orfani

QUEL PICCOLO MONDO DI IERI I tanti orfani

“I ricordi che ci riportano nel passato hanno qualcosa da suggerirci, da insegnarci. Conservano esperienze, desideri raggiunti, ideali che solo il futuro ha potuto accertare. Nel mio piccolo mondo di ieri, povero di cose e ricco d’umano, ho conosciuto persone, vissuto fatti che hanno lasciato in me il desiderio di correre verso il futuro con in mano la fiaccola accesa.” Don Chino Pezzoli

I tanti orfani

In passato, diventare orfani prima di raggiungere l’età adulta era una esperienza molto diffusa in Italia e in molti altri paesi. Se vi erano elevati rischi che un nuovo nato non sopravvivesse fino ai 15 anni, vi erano altrettanti rischi che un bambino perdesse il padre o la madre, o entrambi. La mortalità per parto, a lungo, ha reso orfani di madre molti neonati e i loro fratelli e sorelle. Malattie ora sparite in occidente come il tifo o la tubercolosi erano un rischio costante lungo tutto il corso della vita.

Ed una polmonite diveniva facilmente mortale in assenza di antibiotici. Epidemie e pestilenze provocavano morti di massa che colpivano senza distinzione di età. Si pensi alla “spagnola”, che provocò migliaia di morti. Le guerre prendevano il loro tributo di uomini, di giovani padri. La povertà e le carenze alimentari (si pensi alla pellagra nelle campagne venete e lombarde) colpivano selettivamente le madri (oltre che i bambini) nelle campagne.

La figura dell’orfano, di uno o di entrambi i genitori, ha popolato fino a tempi molto recenti, senza distinzioni di classe e ceto. Anche se le parentele erano spesso l’unica rete di protezione, più o meno solidale, lo status di orfano, insieme a quello di vedova e dei bambini appena nati abbandonati, è stato tradizionalmente uno dei pochi verso cui vi era una qualche forma di responsabilità. I bambini venivano divisi in piccole unità abitative sotto la responsabilità di una donna con ruolo di madre vicaria

Nelle città e paesi con numerosi abitanti venivano aperti orfanotrofi gestiti soprattutto da religiosi o religiose che attendevano ai bisogni primari degli orfani. L’impressione diffusa che questi poveri destinati a vivere fino all’età dei diciotto anni in balia degli istituti sorretti dalla solidarietà dei benestanti, fossero davvero abbandonati a loro stessi e che ogni maltrattamento fosse ritenuto educativo. Basta ricordare alcune storie che la letteratura di quel tempo mette in rilievo, per saperne di più. Infatti la gente era solita appiccicare al nome orfanelli l’aggettivi poveri. Poveri in tutti i sensi: affettivamente soprattutto.

Tra i miei ricordi sono rimaste le ragazze orfanelle ospitate dalle suore del mio paese. Tutte con lo stesso grembiule cenere e il collettino bianco, i capelli con il medesimo taglio. Scarpe in cattive condizioni si facevano adattate al piede delle fanciulle. con qualche previo intervento per allargare la tomaia. Venivano messe in fila a due a due per recarsi dall’orfanotrofio alla chiesa del paese. Era l’unica uscita o svago delle ragazze dal volto triste e spesso sofferente. I miei genitori ammonivano noi figli con la solita affermazione: “Quando mancano i genitori si finisce in orfanotrofio”.

Allora era così. E noi temevamo di fare la stessa fine. Era capitato al mio amico Pietro rimasto solo con la mamma e altre due sorelline senza il necessario per vivere. Una mattina una suora aprì la porta della loro casa e li portò con sé. Dove non lo so, certamente lontano dal paese divisi in orfanotrofi diversi. Alla perdita dei genitori, anche quella dei fratelli e sorelle. Rimaneva loro come casa un ospizio dove al freddo delle mura si univa il “gelo” del cuore.

Compiuti i diciotto anni gli orfani e le orfane erano dimessi dall’orfanotrofio e cercavano ospitalità presso qualche parente o famiglia benestante: i maschi erano utili ai campi, stalle, boschi, e le donne ai servizi domestici. Passavano da una schiavitù a un’altra, fino a quando potevano costruirsi la loro famiglia.

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