LA MALATTIA DEL VIVERE

LA MALATTIA DEL VIVERE

Pensaci Su…
2017-02-09 17:40:46

Non so se si possa chiamare “un mondo adulto spaesato” o meglio un mondo incosciente.

Non so se si
possa chiamare “un mondo adulto spaesato” o meglio un mondo incosciente. La
sostanza non cambia, ci troviamo sempre di fronte a “vuoti educativi”,
all’amore del niente. Siamo noi adulti che ci
dobbiamo mettere in discussione, sotto il peso del disorientamento che produce
nella società il “disagio giovanile”. È difficile “metterci in questione”:
scattano automaticamente meccanismi di difesa, di autodifesa. Oppure, ci comportiamo
come quel tale di cui parla la S. Scrittura, “un uomo che osserva il proprio
volto in uno specchio; appena s’è osservato, se ne va, e subito dimentica
com’era”.

Cioè: facciamo riflessioni, pertinenti, e poi tutto riprende come prima,
esattamente. La famiglia è più isolata dalla parentela e il contesto sociale
spesso si frammenta ed implode. Il rischio delle rotture famigliari è sempre in
agguato e i giovani lo percepiscono in maniera quanto mai vivida e sensibile.
La conversazione famigliare è meno «generazionale», sia nel senso che le
generazioni si confrontano fra loro in famiglia più sulla base di notizie, di
curiosità che sulle diversità, maturità, conoscenza. In questo modo anche la
trasmissione socioculturale è lasciata al caso. Se prendiamo la scuola, i
giovani la vivono come se fossero unicamente in un luogo specializzato per le
competenze conoscitive e attitudinali che potranno dare, in breve, un
itinerario formale che è necessario percorrere per ottenere quei titoli, senza
i quali ci si troverebbe poi esclusi da certe possibilità di lavoro.

Di sicuro, la gran parte dei giovani non si attendono e non vedono la
scuola come ambiente di socializzazione, umanizzazione, e neanche come comunità
di amicizia. Tutto ciò rappresenta per le nuove generazioni un “vuoto
esistenziale” che incide sensibilmente sulla stessa libertà. Se l’adulto non sa
cosa fare, figuriamoci i giovani. Noi adulti, siamo liberi, ma non sappiamo per
che cosa. La libertà stessa chiede di essere orientata. La libertà non è solo “libertà
da …” ma è in primo luogo “libertà per …”. Nel momento in cui noi adulti
non sappiamo   più orientare la nostra
libertà, nel momento in cui non sappiamo più “in vista di che cosa” siamo
liberi, la libertà diventa insopportabile ed entra in noi adulti la peggiore
malattia spirituale: la noia di vivere. Oggi il disagio giovanile è quello di
chi ha smarrito il significato della libertà: è un’immensa “tristitia cordis”
che è penetrata nella vita dei giovanissimi. Si è spezzata la proposta del senso,
anzi dell’atto educativo.

L’intreccio mirabile, costituito da chi educa e da chi è educato, è venuto
meno.  Perché gli adulti sono i primi
responsabili di questo tonfo nel buio delle nuove generazioni? Non si dice che
i giovani d’oggi sono più precoci rispetto a quelli del passato? Domande forti.
L’uomo non decide di venire al mondo: è posto nel mondo. Lo stupore di fronte
alla realtà genera nel cuore di ogni neo-arrivato due domande fondamentali:
dove sono capitato? In un mondo buono o ostile? La domanda sulla verità
dell’essere è la domanda sulla bontà dell’essere. Vorrei che si riflettesse
profondamente, su questa condizione umana. Se io mi trovo buttato in un paese,
in un territorio che mi è completamente sconosciuto e ritengo di non poterlo
conoscere, come posso muovermi? Dove vado? Come ci vivo? Se io mi trovo buttato
in un paese che mi è completamente sconosciuto e ritengo di non poter conoscere
ciò che mi consente di vivere bene in esso e ciò che mi può danneggiare, come
posso passarci la mia vita? Come posso star bene?  La malattia della noia va prevenuta e curata
danno alla nostra vita e soprattutto a quella di molti giovani motivazioni,
senso.

 

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